Una lancia di ferro, cinque acquarelli appesi e nel mezzo maschere tribali fatte di pasta di pane: inizia così il percorso della personale dal titolo Guaymallén, allestita al Mudec di Milano, di La Chola Poblete, visitabile sino al 20 ottobre 2024 L’artista argentina è la vincitrice del premio internazionale “Artist of the Year” che ogni anno Deutsche Bank insieme con 24 ORE Cultura assegna a un artista contemporaneo che si sia distinto per originalità della ricerca e creatività del proprio lavoro.
L’arte che mostra il flusso del divenire
I materiali di cui si serve La Chola Poblete per creare le sue opere sono gli acquarelli e la pasta di pane: entrambi sono fluidi, non sono finiti, cambiano forma mentre si utilizzano, a simboleggiare il divenire della vita, che evolve, sino a deperire e poi morire. Così la traccia con l’acquarello, che mentre si posa sulla carta sbava, si allunga, perde il tratto originale per assumerne uno nuovo, imprevisto e indefinibile a priori. Lo stesso fa il pane, che da un insieme di farina e acqua diventa impasto, e poi cuocendo in forno un’altra cosa ancora, con colori e consistenze differenti, fuori dal controllo dell’artista. E col tempo marcisce.
La collaborazione con il panificio di Davide Longoni
La Chola Poblete incontra Davide Longoni a Milano, conosce la sua arte, nel suo laboratorio crea due sculture antropomorfe a grandezza naturale e alcune maschere. Lavora con i collaboratori di Davide, scopre affinità tra i processi di pittura ad acquarello e la cottura del pane. «Quando realizzo una maschera di pane o lavoro con un acquarello fuso – afferma l’artista – entrambi seguono un percorso irreversibile. Da un lato, la pasta assume diverse sfumature di colore a seconda di quanto tempo rimane nel forno, cambiando forma, lievitando, crepandosi e bruciando. Allo stesso modo l’acquarello distorce il disegno, si mescola con altre macchie, crea nuove forme. Ho la sensazione che questi materiali abbiano una qualità performativa, incarnando la mutevolezza e il flusso». L’opera “Maria e papas lays” (la Vergine e le patatine fritte) mostra il busto di una Vergine fatto interamente di pane. La Vergine è una figura che ricorre spesso nelle opere di La Chola Poblete, perché simbolo di una donna forte, volitiva, una madre che possa essere un esempio per tutti, coralmente.
La mostra si dipana in uno spazio in cui è stato ricreato lo stile del barocco andino e che pare una cattedrale del disegno. I quadri sono fissati su pareti dai colori intensi, che variano dal rosso al giallo, in un percorso che ricorda le navate laterali di una chiesa. Tra le opere esposte molte sono inediti, e, come dice La Chola Poblete, «simboleggiano il divenire delle cose, la loro trasformazione e il loro deperimento».
La rassegna, curata da Britta Farber, prende il nome dalla città natale al nord dell’Argentina di La Chola Poblete, ai piedi delle Ande, e fonde la vita, le radici e la visione dell’artista in un racconto forte, personale e schietto, ricco di bellezza ma anche di crudeltà.
«Con la mia arte voglio onorare il mio Paese, la mia gente, la cultura e le tradizioni della mia terra. Dal punto di vista della materialità, l’acquarello è fondamentale, come lo è la pasta, che verrà trasformata, in cottura, in pane. L’acquarello si basa sulla fluidità dell’acqua e così il pane è il prodotto della fluidità della pasta. Per me è importante non essere cristallizzata in uno schema rigido, in un cliché derivante dalle narrazioni del dominio patriarcale occidentale del nostro mondo moderno».
Al Mudec, sino al 20 ottobre.