Le armi russe, ma anche iraniane e nordcoreane, colpiscono ogni giorno asili, ospedali e centri commerciali ucraini nelle ore di punta, per uccidere quanti più civili possibile (e sempre più spesso anche due volte di seguito nel giro di un’ora, per assassinare pure i soccorritori); le armi ucraine, in gran parte americane ed europee, colpiscono le basi da cui partono quegli attacchi e i depositi in cui quelle armi sono ammassate, come è accaduto ieri con il clamoroso attacco nella regione di Tver. Un attacco con cui gli ucraini hanno distrutto un immenso arsenale di missili pronti a essere usati contro le loro case, situato nel cuore di quel territorio russo che per troppo tempo gli alleati occidentali hanno proibito di colpire. Secondo la posizione del novantacinque per cento della politica italiana, avrebbero dovuto lasciarlo lì.
Oggi il Parlamento europeo voterà infatti la risoluzione che al punto 8 «invita gli Stati membri a revocare immediatamente le restrizioni all’uso dei sistemi d’arma occidentali consegnati all’Ucraina contro legittimi obiettivi militari sul territorio russo, che ostacolano la capacità dell’Ucraina di esercitare pienamente il suo diritto all’autodifesa secondo il diritto pubblico internazionale e lasciano l’Ucraina esposta ad attacchi alla sua popolazione e alle sue infrastrutture».
Si tratta di una risoluzione congiunta presentata da Popolari, Socialisti, Liberali, Verdi e Conservatori europei. Un fronte larghissimo, che abbraccia quasi l’intero arco delle forze politiche rappresentate nel parlamento di Strasburgo, escluse solo l’estrema sinistra e l’estrema destra filo-putiniana dei Patrioti capitanati da Viktor Orbán. E l’Italia, purtroppo. Il paese alla rovescia in cui è la posizione contraria a unire praticamente tutti i partiti, al di là di ipocrite e umilianti distinzioni nel comportamento di voto, come votare contro o astenersi sul singolo punto per poi votare a favore del testo che lo contiene, e simili raffinatezze che sembrano escogitate al solo scopo di confermare i peggiori stereotipi sul nostro paese, specie in tempo di guerra.
D’altra parte, la famosa peculiarità della politica italiana oggi sta tutta qui. È il punto più basso di una trentennale discesa nell’abisso dell’antipolitica, fino alla trasformazione dell’intero sistema in un caso, come si vede, pressoché unico in Europa, in cui i populisti sono di fatto al cento per cento, tanto da rendere forse insufficiente la stessa definizione di bipopulismo. Considerando oltre tutto come la politica non faccia che riflettere un’egemonia populista evidente da decenni in tutti gli ambiti del dibattito pubblico, della cultura, del linguaggio e del costume, sarebbe forse il caso di parlare ormai di monopopulismo.
Leggi l’articolo di Mario Lavia su questo argomento
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