Da una parte, una città culturalmente frizzante, in perenne trasformazione e ricca di diversità. Dall’altra, una città sempre più escludente, inaccessibile e patinata. La Milano del “post-Expo”, e soprattutto del “post-Covid”, è come un adolescente prodigio che, sulla scia di qualche conoscenza sbagliata, inizia a prendere una brutta piega. Ma che ha ancora tempo per salvarsi. Per farlo, deve farsi aiutare e guardarsi dentro per capire chi vuole diventare.
Forse Milano deve smettere di alzare ostinatamente l’asticella, andando a riprendere per mano chi sta lasciando indietro e raccontando i margini dai margini, che è l’obiettivo di un nuovo progetto in programma alla Fabbrica del Vapore (sala Colonne) dal 28 settembre al 6 ottobre. Il titolo è Milano senza dimora ed è un ibrido tra una mostra e uno spazio culturale. Attraverso centosessanta scatti del fotografo e sociologo Luca Meola, l’iniziativa vuole descrivere la città dal punto di vista delle persone senza fissa dimora, spesso invisibili agli occhi di una cittadinanza risucchiata dal vortice della quotidianità.
Stando ai dati comunali, raccolti a febbraio di quest’anno, a Milano ci sono più di duemilatrecento persone senza casa, costrette a dormire per strada, sotto i ponti o nelle strutture di accoglienza. Si tratta dello 0,17 per cento della popolazione cittadina. Meola – che è anche socio di Codici, una delle realtà promotrici del progetto assieme alla direzione Welfare e Salute del Comune di Milano e alla Rete grave marginalità adulta del terzo settore e volontariato cittadino – ha coinvolto quindici di queste persone, camminando per ore di fianco a loro e documentando tutto con la sua macchina fotografica. Parliamo, sotto alcuni aspetti, di una vera indagine sociologica.
«Ho raccolto immagini e storie per documentare la loro quotidianità, spesso fatta di attività e spostamenti ripetitivi, con uno sguardo di profonda vicinanza e condivisione. In un secondo momento, sono tornato da solo nei luoghi visitati per catturare l’ambiente urbano con un approccio più distaccato e analitico, mettendo in luce le contraddizioni di una città che da un lato offre risorse e servizi fondamentali, ma dall’altro alimenta dinamiche di esclusione», racconta Luca Meola, presente all’inaugurazione di sabato 28 settembre assieme a esponenti dell’amministrazione comunale, di Codici e del Centro Sammartini, spesso definito «la prima porta di accoglienza» per chi a Milano non ha una casa.
Ogni foto è il frammento di una giornata dei cittadini senza fissa dimora, ma non solo. È anche una testimonianza tangibile della straordinaria rete di accoglienza milanese: un sottovalutato ecosistema di dormitori, mense, luoghi di incontro e piccoli-grandi gesti di volontarie e volontari instancabili. È di ieri, lunedì 23 settembre, la notizia dei 21,4 milioni di euro in cinque anni destinati ai servizi per i senza dimora di Milano: l’assegnazione del ministero del Lavoro ha premiato il capoluogo lombardo, che – da solo – otterrà il diciotto per cento dei centoventi milioni del Fondo sociale europeo Plus. Non è una casualità, perché i soldi vengono ripartiti in base alle virtuosità degli enti locali.
Tornando al progetto della Fabbrica del Vapore, le persone senza fissa dimora non sono state semplicemente soggetti fotografici, ma protagoniste attive. Il risultato è un racconto visivo che smonta i pregiudizi e mette sotto i riflettori una Milano che rifiuta le logiche esclusive ed elitarie su cui si basano le metropoli occidentali. Secondo Jacopo Lareno Faccini, uno dei ricercatori di Codici che si è occupato del progetto, «Milano senza dimora è uno strumento di riflessione condivisa su come Milano possa al tempo stesso accogliere o respingere, connettere o isolare. Queste immagini raccontano le condizioni di vita e di dignità delle persone che occupano le posizioni più marginali ed esposte, ma anche le possibilità di cambiamento».
La speranza, conclude Jacopo Lareno Faccini, è quella di «aprire un dialogo tra il pubblico cittadino, le istituzioni e le reti di assistenza, per cercare soluzioni che puntino a un miglioramento delle condizioni di vita di chi è in situazioni di grave emarginazione. È una domanda aperta: “Quale futuro possiamo costruire per una Milano più inclusiva?”». Insomma, molto più di una mostra.
Ne è consapevole Lamberto Bertolé, assessore al Welfare e alla Salute, secondo cui l’iniziativa «non ha sottovalutato le contraddizioni e le difficoltà che caratterizzano Milano, come tutti i grandi centri urbani. L’impegno è quello di lavorare su risposte strutturali per sostenere le persone più vulnerabili in un percorso di riscatto sociale. La mostra e il palinsesto collegato hanno il merito di entrare in punta di piedi ma con determinazione in un mondo – quello di chi vive in strada – spesso chiuso e inaccessibile, per favorire lo sviluppo di un punto di vista consapevole su questo fenomeno così complesso».
Come anticipato, Milano senza dimora vuole consolidarsi come un vero e proprio contenitore culturale parallelo alle fotografie esposte alla Fabbrica del Vapore, in via Procaccini 4 (fermata “Monumentale” della linea M4 della metropolitana). Qualche esempio? Il 28 settembre alle 20, dopo il taglio del nastro, verrà proiettato – in collaborazione con Spazio Anteo – il film “Perfect Days” di Wim Wenders. Ma non solo: giovedì 3 ottobre, dalle 18 alle 19, il talk pubblico dal titolo “Cosa succede in città? Storie, dati e prospettive per leggere la città” creerà una discussione aperta a partire dalle storie, dai dati e dalle ultime ricerche sull’homelessness. Il calendario completo degli eventi è disponibile qui.