Da ormai diversi anni il machine learning rappresenta uno strumento fondamentale per l’azione contro il clima. Quantità mastodontiche di dati e algoritmi predittivi hanno permeato pressoché ogni settore legato alla transizione verde e in buona parte del mondo occidentale i finanziamenti e l’impegno su questo fronte, sia da parte della politica che delle imprese, sono in costante aumento.
Secondo il report “Accelerating Climate Action with AI”, realizzato da Boston Consulting Group e Google, questa tecnologia ha il potenziale per aiutare a diminuire dal cinque al dieci per cento delle emissioni di gas serra globali entro il 2030. Il futuro dell’IA e del suo utilizzo in una serie sconfinata di ambiti, dalla valutazione dell’impatto dell’energia solare ed eolica sulle reti elettriche fino al settore dell’edilizia e della pianificazione urbana, è quindi radioso (almeno sulla carta).
Lo sa bene Priya Donti, professoressa al Mit di Boston nonché co-fondatrice e presidente di Climate Change AI, un’organizzazione non profit composta da volontari provenienti dal mondo accademico e dall’industria il cui obiettivo è chiaro: mitigare le conseguenze del cambiamento climatico attraverso un’azione sociale concentrata, rispetto alla quale l’apprendimento automatico può svolgere un ruolo di prim’ordine. Nel 2019, dopo un dottorato di ricerca sul deep learning e i sistemi di energia elettrica, Donti ha partecipato alla realizzazione di un paper che ha ridefinito l’agenda di ricerca su come l’IA può contribuire ad affrontare la principale sfida del nostro secolo. Abbiamo fatto una chiacchierata con lei.
Il successo mediatico dei modelli generativi negli ultimi due anni ha prodotto un gran trambusto attorno all’IA. Ben prima del rilascio di ChatGPT. Tuttavia, questi algoritmi erano entrati a far parte della nostra quotidianità e in una marea di ambiti diversi, anche sul fronte della lotta al cambiamento climatico. Quali sono, oggi, i settori in cui può davvero fare la differenza?
Il cambiamento climatico è ovviamente un problema estremamente urgente e ciò significa che dobbiamo utilizzare tutti gli strumenti e gli approcci che abbiamo nella società per affrontare il problema. L’intelligenza artificiale è uno di questi strumenti. Non è una pallottola d’argento, ma può essere utile in vari modi per sostenere l’azione attraverso diverse vie, come l’ingegneria, le scienze sociali, la politica e così via. È utile, ad esempio, per l’analisi delle immagini satellitari su larga scala per individuare dove si verificano effettivamente le emissioni di gas serra, dove si sta verificando la deforestazione, quali sono i tipi di colture sui terreni agricoli, per aiutarci a individuare strategie di adattamento ai cambiamenti climatici attraverso migliori pratiche agricole e così via. Ci può anche aiutare per gestire i sistemi di riscaldamento e raffreddamento degli edifici o degli impianti industriali al fine di migliorarne l’efficienza. Può contribuire ad accelerare la scoperta di tecnologie pulite di nuova generazione come le batterie elettriche, i combustibili solari o i sorbenti per l’assorbimento di CO2, analizzando i risultati degli esperimenti in cui sono stati sintetizzati questi prodotti per consigliare gli esperimenti successivi. Va sottolineato che ci sono tantissimi tipi diversi di IA, molti dei quali precedenti al recente boom dei modelli generativi. È quindi importante capire che si tratta di un insieme di strumenti molto più ampio di quello su cui il pubblico si concentra spesso in questo momento.
C’è però il rovescio della medaglia: l’impronta di carbonio dell’IA stessa. L’ultimo rapporto ambientale di Google ha rivelato un aumento delle emissioni di quasi il cinquanta per cento rispetto al 2019, soprattutto a causa dei consumi dei centri di elaborazione dati per l’IA. Le Big Tech sottovalutano questo problema?
È difficile rispondere a questa domanda. Il consumo energetico dell’IA è assolutamente un aspetto da tenere d’occhio. La trasparenza dei dati in questo particolare settore però è carente. Esistono soluzioni, proprietari di data center che presumibilmente hanno la capacità di raccogliere e dedurre informazioni su quanto la propria IA consumi energia. Molti di questi dati, tuttavia, non sono a disposizione del grande pubblico: si crea così una situazione in cui le stime disponibili sono molto varie ed è difficile capire quale sia quella più corretta. È importante agire sui diversi meccanismi che abbiamo per ridurre l’uso di energia e le emissioni in generale. Si tratta quindi di rendere più ecologica la rete, ma anche di migliorare l’efficienza dell’hardware e dei modelli sfruttando quelli più adatti in base al problema. Non tutti i problemi richiedono un modello generativo di grandi dimensioni. Dobbiamo assicurarci di utilizzare le tecniche in modo appropriato e valutare per quali usi ne valgano la pena e per quali no. Aggiungo anche che, quando si parla di IA, spesso si dice che quest’ultima è positiva perché può essere utilizzata per applicazioni legate al cambiamento climatico, ma che al contempo è negativa a causa del suo utilizzo di energia. Vale la pena notare, tuttavia, che l’IA viene utilizzata in molti modi che sono anche apertamente controproducenti per il clima, come accelerare l’esplorazione e l’estrazione di petrolio e gas, favorire vari aspetti del consumismo sprecone o inquinare il modo in cui accediamo alle informazioni a tal proposito online. Penso quindi che il fatto che questo aspetto venga spesso tralasciato dalla narrazione sia in realtà preoccupante, perché riguarda i modelli di business fondamentali di varie realtà.
Hai parlato di efficienza e dimensioni dei modelli. Anche l’open source contribuisce alla causa ambientale?
Sì, penso che l’open source faciliti davvero la trasparenza, la verificabilità e l’utilizzabilità di questi modelli. Pertanto, ritengo che gli sforzi per renderli il più possibile aperti abbiano molto senso.
Alla Cop28 di Dubai si è parlato per la prima volta di intelligenza artificiale come potenziale soluzione strategica per affrontare il cambiamento climatico. È successo l’anno scorso: ci siamo arrivati un po’ tardi?
È il clima il problema che stiamo cercando di risolvere. Non stiamo cercando di proporre un solo strumento. Non credo sia una questione di troppo presto o troppo tardi: sono contenta che sia stata un’opportunità per approfondire la conversazione su questi strumenti e tecnologie. Ma ancora una volta, penso che dobbiamo portare tutto ciò che possiamo alla sfida del clima.
In tutto il mondo si discute di misure regolatorie per fissare dei paletti in ambito IA. L’Europa è stata la prima con l’AI Act. Temi che regolamentare troppo questo settore possa limitare l’innovazione utile anche alla causa climatica?
Per quanto riguarda la legge europea sull’IA, penso che ci siano alcune cose davvero interessanti sul fronte del clima e della sostenibilità. Ad esempio, la classificazione dei sistemi in base ai rischi che comportano per l’ambiente, e poi i requisiti di rendicontazione, che potrebbero includere informazioni su aspetti come la quantità di calcolo e l’energia utilizzata, che ci permettono di ottenere l’impronta dei server. Penso che cose del genere siano molto utili. Ci sono ovviamente molti dubbi sulla corretta attuazione del regolamento, che in un certo senso vanno al di là di ciò che posso commentare. In generale però direi che una regolamentazione ben concepita abbia senso anche in termini di allineamento con gli obiettivi relativi al cambiamento climatico, nonché di responsabilità, equità, etica e altri aspetti simili. Il progresso richiede la garanzia che persone provenienti da contesti diversi siano in grado di beneficiare dello sviluppo di queste tecnologie. Ritengo che la regolamentazione possa essere davvero importante per garantire che i benefici vengano percepiti in modo distribuito da molte persone diverse.
Climate Change AI collabora con il governo delle Fiji per migliorare la previsione delle inondazioni e sta lavorando per lo sviluppo di un rilevamento migliore e più localizzato della rete elettrica del Ghana. Sono progetti ambiziosi.
Climate Change AI gestisce un programma di sovvenzioni che fornisce finanziamenti di avviamento a gruppi di lavoro che di solito sono consorzi di accademici, persone e istituzioni che hanno intenzione di implementare queste tecnologie. Lo scopo è finanziare un lavoro d’impatto che sfrutti l’IA, piuttosto che facilitare la creazione di serie di dati su cui altri possano basarsi per i propri interessi. Entrambi i progetti citati sono stati finanziati attraverso questo programma. Nel primo caso, i ricercatori dell’Università dell’Australia Occidentale, dell’Università del Pacifico Meridionale e dell’Università di Sydney stanno collaborando con il governo delle Fiji per migliorare la capacità di rilevare le inondazioni nei terreni coltivati. Quando si effettuano rilievi in seguito a un evento alluvionale, si può avere un quadro solo parziale: possono sfuggire agricoltori o appezzamenti più piccoli, con un impatto sull’equità del modo in cui i rilevamenti sul campo quantificano i danni. Il team sta lavorando per sviluppare strumenti che sfruttino le immagini satellitari per cercare di ottenere un quadro più completo, in modo da informare gli sforzi di risposta ai disastri sul campo. Nel secondo caso, i ricercatori dell’Università di Washington e una piccola azienda chiamata Endline stanno lavorando per sfruttare un sensore sviluppato dalla società, che è fondamentalmente un sensore a basso costo per misurare gli attributi della rete elettrica e avere un quadro migliore dello stato generale degli impianti nel contesto ghanese. Questo può essere d’aiuto, ad esempio, quando si invia energia lungo le linee elettriche: se la rete elettrica non è strutturata o gestita correttamente, si verificano molti sprechi. In generale, l’obiettivo di Climate Change AI è quello di democratizzare lo spazio dell’IA e del cambiamento climatico, fornendo una sorta di aiuto alla formazione di un maggior numero di persone con competenze o esperienze in queste aree e aiutando le persone a creare connessioni migliori per formare i team multidisciplinari e multisettoriali che sono spesso necessari per fare progressi. Abbiamo anche una scuola estiva in cui formiamo le persone e workshop in cui tutti possono diffondere il loro lavoro e continuare a parlare dello stato del settore.