Industria 6.0Il futuro delle telecomunicazioni e la guerra degli standard tecnologici

La corsa allo sviluppo di reti mobili 6G è iniziata da tempo e ora la vera sfida è la fissazione di parametri globali per assicurare la compatibilità tra le diverse tecnologie

AP/Lapresse

Internet of Things (IOT o «Internet delle cose»), industrie robotizzate, veicoli a guida autonoma, Smart Cities, telemedicina, ecc. hanno tutti un tallone d’Achille: perché possano realizzare il loro servizio (e quindi business) necessitano di una grande capacità e velocità di connessione. Come quella delle reti di telecomunicazione mobile di quinta generazione (5G) che permettono di affiancare più servizi contemporaneamente con una grande flessibilità d’uso. Ovviamente questo tipo di rete ben si presta anche all’uso militare: senza 5G non si coordinano (per fare un esempio) stormi di droni e non è possibile connettere i vari sensori, i dispositivi meccanici e l’Intelligenza Artificiale in real-time.

Ecco perché grandi aziende e in particolare due nazioni Cina e Stati Uniti stanno investendo massicce dosi di denaro nello sviluppo delle telecomunicazioni mobili wireless oramai di sesta generazione. Corea del Sud e Giappone seguono a ruota. Cinque grandi aziende si dividono il mercato e l’avanzamento tecnologico: le cinesi Huawei e Zte, la coreana Samsung e le due europee Ericsson e Nokia.

L’America si è accorta in ritardo del gap che aveva rispetto alla Cina sul 5G. Scriveva nello scorso aprile il Wall Street Journal: «L’iniziativa di pianificazione 6G mira anche a riaffermare la leadership degli Stati Uniti e dei suoi alleati nelle telecomunicazioni, dove la Cina ha ottenuto guadagni grazie in parte all’attento supporto alla supply chain locale e alla maggiore partecipazione alla definizione degli standard internazionali». Guadagni cui l’America ha risposto anche con pratiche protezionistiche.

Nel maggio del 2019 l’allora Presidente Trump emanava un «Executive Order» (Executive Order on Securing the Information and Communications Technology and Services Supply Chain) che tagliava fuori Huawei (e non solo) facendola entrare (e mai uscire) dalla cosiddetta «Entity List», e in seguito oggetto di ulteriori restrizioni, in particolare il divieto di fornire Huawei di microprocessori avanzati da usare anche nei suoi smartphone. Tali restrizioni hanno però portato il colosso cinese a investire nel 2022 in ricerca e sviluppo dei propri prodotti la cifra monstre di 23,2 miliardi di dollari, pari al 25,1% del fatturato annuo. Huawei ha così spiazzato gli analisti americani presentando nell’agosto dello scorso anno il suo ultimo smartphone 5G “Mate 60 Pro” con processore primario da sette nanometri made in China (dalla SMIC di Shanghai).

Rimane che la Cina (e Huawei) punta decisamente sulla sesta generazione di telecomunicazione mobile. Il 6G sarà alla base dell’«Internet of Everything» creando la condizione necessaria per la realizzazione di un mondo Cyber-Human, dove intelligenza umana, Intelligenza Artificiale, trilioni di sensori, dialogheranno in tempo reale: comunicazioni oleografiche, estensione della rete allo spazio extra terrestre, una «rete neurale distribuita», secondo la definizione stessa di Huawei. Una vera e propria ulteriore Rivoluzione Industriale. 

Bassissima latenza (inferiore al millisecondo), capacità di far viaggiare un numero di dati mai visto prima a velocità sbalorditive (si parla in teoria di velocità fino a un terabyte al secondo, pari a mille volte quella della rete 5G), e altissima flessibilità. Questo spiega perché la Cina nel giugno 2019 abbia costituito il gruppo di promozione Imt-2030 (6G) e nel 2020 annunciato un pacchetto di sussidi e stimoli del valore di dieci trilioni di renminbi (1,5 trilioni di dollari) tra il 2020 e il 2025 sul 6G (nonché chip AI e data center).

Dal canto suo gli Stati Uniti nel 2021 hanno istituito, dopo aver stanziato l’anno precedente 1,9 miliardi di dollari per lo sviluppo del 5 e 6G, l’Alleanza NextG (Nga) per promuovere la leadership della tecnologia wireless nordamericana del prossimo decennio attraverso una grande sinergia con il settore privato (vi hanno aderito sostanzialmente tutte le più grandi aziende americane con l’aggiunta di alcune non americane quali, ad esempio, Ericsson, Samsung, la giapponese Gma). Nga ha poi siglato accordi di collaborazione con altri consorzi per lo sviluppo del 6G tra cui l’indiano Baharat 6G Alliance. Si pensa che la tecnologia sarà matura per la fine del 2030.

Ma esiste un problema: gli standard. In un articolo della Mit Technology Review dell’aprile 2022, il responsabile della ricerca di Nokia Bell Laboratories, Shahriar Shahramian, chiarisce la questione «Una delle complessità del 6G sarà come possiamo riunire le diverse tecnologie wireless in modo che possano consegnarsi a vicenda e lavorare insieme con efficacia in maniera totalmente trasparente per l’utente finale… Questo traguardo è la parte difficile».

Non è solo un enorme problema tecnico ma soprattutto è una questione di fissazione degli standard.«Chi possiede gli standard possiede il mercato» diceva Werner von Siemens fondatore insieme ai fratelli dell’omonimo colosso industriale nel XIX secolo. Gli standard tecnici servono a garantire interoperabilità e compatibilità. Per meglio capirci pensate allo scartamento dei binari o al voltaggio della rete elettrica o (tema ancora irrisolto!) alla forma delle prese elettriche.

Non è un caso che nel comunicato della Casa Bianca del 5 aprile scorso in relazione alla sesta riunione del Consiglio per il Commercio e la Tecnologia (Ttc), ospitato dalla presidenza belga del Consiglio dell’Unione Europea a Leuven in Belgio –presenti da parte americana Antony Blinken Segretario di Stato e Gina Raimondo Segretario al Commercio – il tema degli standard sia esplicito: «Considerando l’importanza di sviluppare una visione comune al 6G e di cooperare nel processo di standardizzazione globale attraverso organizzazioni di standardizzazione come Etsi/3Gpp, intendiamo anche sviluppare un piano di sensibilizzazione con partner che la pensano allo stesso modo per sostenere e far progredire lo sviluppo delle reti 6G». Il citato gruppo di lavoro 3Gpp (Third Generation Partnership Project) nasce nel 1987 e vede la partecipazione di vari soggetti (imprese, università, centri di ricerca e organizzazioni legate alla produzione degli standard). Ne fanno parte la Arib e la Ttc giapponesi, l’Atis americana, la Ccsa cinese, la Etsi europea, la Tsdsi indiana e la Tta coreana.

La guerra per gli standard è già iniziata: la Cina ha pubblicato la sua strategia nel 2021 con il “Chinese National Standardization Development Outline” che esprime una programmazione spinta al 2035. Gli USA hanno risposto con il documento “U.S. Government National Standards Strategy for Critical and Emerging Technology” (Usg Nsscet) pubblicato a maggio dello scorso anno. In sostanza, la competizione è certamente tecnologica ma è anche sul piano degli standard, necessari affinché la tecnologia, per quanto dirompente, trovi nuovi e più ampi ambiti di applicazione e di ulteriore potenziale sviluppo e diffusione.

Tornando al gruppo di lavoro 3Gpp a settembre 2023 vi erano iscritti ottocentoquarantotto membri ma se si scontano affiliazioni locali e società controllate il numero scende a circa 550 soggetti associati. E sono solo sei le società (Ericsson, Huawei, Nokia, Qualcomm, Samsung e Zte) che, fino a ottobre 2023, vi hanno conferito il 54% dei contributi scritti. In altre parole, questo piccolo gruppo di aziende, l’1% dei membri 3Gpp, è responsabile di oltre la metà dei contributi che sono alla base della suite di specifiche degli standard 5G (Fonte: Dolcera Tdoc explorer). Von Siemens aveva ragione.

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