Caro direttore, per suo tramite vorrei rivolgermi ai leader delle associazioni datoriali italiane, a partire da Confindustria, ma naturalmente anche a quelle del commercio e dell’artigianato, dell’agricoltura, delle professioni e dei servizi, nella speranza che con il loro contributo il dibattito sulla cittadinanza e l’integrazione degli immigrati possa diventare un dibattito laico, scevro da pregiudizi ideologici e fondato su dati di realtà. Tutte le analisi di scenario indicano la necessità per l’economia italiana di un consistente afflusso di lavoratori stranieri nei prossimi lustri. Ciò vale praticamente in qualunque settore, dalla manifattura alle costruzioni, dal commercio al turismo, dall’agricoltura alla ristorazione, dai servizi alla logistica.
Il professor Billari, statistico e demografo, rettore dell’Università Bocconi, partendo dalle previsioni Istat per i prossimi dieci anni e considerando l’emigrazione italiana, individua in oltre quattrocentomila il numero necessario di migranti l’anno in entrata in Italia per mantenere il potenziale economico del Paese e sostenere il welfare, mentre la Fondazione Moressa stima che già oggi l’8.8 per cento del Pil provenga dal lavoro degli immigrati.
Inutile illudersi che la rivoluzione tecnologica, compresa l’intelligenza artificiale, possano compensare il crollo dell’offerta di lavoro legata al crollo demografico, che in Italia è più accentuato e accelerato che altrove. Senza l’arrivo, la formazione e l’integrazione di centinaia di migliaia di stranieri all’anno l’economia italiana perderà forza, competitività e capacità di attrarre investimenti. I giovani laureati italiani che emigrano in cerca di migliori opportunità occupazionali e salariali non diminuiranno, ma aumenteranno proprio a causa della crescente debolezza della nostra economia.
È chiaro che la partita principale per tutta l’Unione è quella ben delineata da Mario Draghi nel suo rapporto sul futuro della competitività europea, ma in quel contesto l’Italia più degli altri deve affrontare la crisi demografica, anche con politiche lungimiranti sull’immigrazione.
I requisiti per la cittadinanza sono un elemento essenziale nella politica di integrazione e danno un segnale forte sulla volontà del paese di valorizzare e integrare chi arriva. E l’Italia, ripetiamolo, si gioca il futuro sull’integrazione degli stranieri e sull’attrattività di persone motivate, pronte a vivere secondo i valori scolpiti nella Costituzione repubblicana cui venga riconosciuto il diritto di diventare cittadini e cittadine italiane senza inutili e vessatorie attese e lungaggini.
Per tutto questo, per un’Italia che ancora scommetta positivamente sul proprio futuro civile ed economico, come devono poter fare gli imprenditori, chiedo anche a voi di firmare e sostenere il Referendum per dimezzare da dieci a cinque anni i tempi di attesa per la cittadinanza italiana. Un segnale forte che riguarda milioni di persone, moltissimi ragazzi e giovani nati o cresciuti qui, nelle scuole italiane. Mancano pochi giorni, ma l’obiettivo delle cinquecentomila firme è a portata di mano. Alle divisioni e ai rinvii del Parlamento, si dia la possibilità di rispondere direttamente agli elettori la prossima primavera.