Matteo Salvini fa il martire. Si sente un perseguitato per avere difeso il sacro suolo italiano dagli immigrati barbari e dagli infidi governi europei, non disponibili a distribuire gli immigrati che per venti giorni sono rimasti bloccati sulla Open Arms. Il convitato di pietra, il suo ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, si gira dall’altra parte fischiettando, perché il ministro leghista aveva fatto tutto da solo, contro la volontà di Palazzo Chigi. Come se ciò fosse possibile, come se il premier non fosse responsabile dell’indirizzo delle politiche del suo governo, senza compartimenti stagni. Del resto, Conte non sceglie tra Trump e Harris, mentre Salvini e Musk, che è venuto in suo soccorso definendo pazzi i magistrati palermitani, sì.
Il martire Matteo chiama alla mobilitazione nei gazebo, vuole l’accerchiamento del tribunale di Palermo da parte dei suoi militanti e parlamentari, una pressione fino al 18 settembre, quando l’avvocato Giulia Bongiorno farà la sua arringa difensiva. Una pressione di un potere esecutivo (a cominciare dal premier Giorgia Meloni) su quello giudiziario che deve ancora pronunciarsi, essendo la richiesta di sei anni di carcere quella della pubblica accusa. I magistrati hanno chiarito un principio semplice: la politica immigratoria e la necessità di propaganda politica-elettorale di un leader e di un partito non sono sopraelevate al diritto di assistenza e salvataggio degli uomini. La stessa propaganda che sta facendo oggi Salvini, che ai suoi più fidati, come riporta Marco Cremonesi sul Corriere della Sera, ha detto: «Faremo in modo che questa ingiustizia possa diventare un’occasione di consenso». Ci sono le regionali in Emilia, Umbria e Puglia, la Lega vuole spaccare.
Matteo il martire fa l’attore: registra un post in una scenografia da teatro, con lo sfondo nero cupissimo, lui in primo piano in giacca e camicia bianca, il volto assorto e inespressivo nel recitare la sua pièce. Scandisce e ammette di essere colpevole, eroicamente, con sprezzo del pericolo carcerario. Per il popolo di destra, quello che una volta lo votava in massa, è tanta roba. Si è messo nella migliore modalità politica per rilanciare la sua immagine alquanto ammaccata, per recuperare consensi, per mettersi al centro del centrodestra che sul terreno dell’immigrazione lo sta seguendo.
Un terreno che rimane sempre la gallina dalle uova d’oro di tutte le destre in giro per il mondo. Non è un caso che il capo leghista abbia invitato a Pontida l’ungherese Viktor Orbán e l’amica francese Marine Le Pen. Gli piacerebbe che venisse pure il suo amico dell’estrema destra austriaca, Herbert Kickl, che aspira alla Cancelleria di Vienna (l’Fpö è data al 25 per cento). Durante il braccio di ferro sulla Open Arms, tra una telefonata e l’altra al suo capo di gabinetto Piantedosi in cui diceva di tenere duro, Salvini era a Innsbruck abbracciato (chi scrive era presente) al suo collega austriaco e al tedesco Seehofer in quello che il martire definì «l’asse dei volenterosi». Peccato che Austria e Germania erano e sono i due Paesi che stanno chiudendo sempre di più le loro frontiere, non permettendo quella distribuzione di migranti che Salvini chiedeva per far sbarcare quel centinaio di poveri cristi. Ma l’antisemita Kickl, figlio di nazisti (quelli veri), che è anche tra i fondatori del gruppo europeo dei Patrioti, non può esserci a Pontida (il 29 settembre in Austria si vota). E lui già sente odore di potere sull’onda della promessa di «orbanizzazione» del suo Paese.
Ancora nessuna conferma da Orbán e Le Pen, ma è chiaro il messaggio che vuole dare al suo popolo sul pratone. Già immagina quando lui salirà sul palco e alzerà le braccia al cielo per salutare, battendo il pugno sul cuore per comunicare l’affetto che ha per i militanti. Si scateneranno l’entusiasmo, gli applausi, i cori da stadio per il martire, colui che rischia il carcere per avere tenuto fede alla parola data, proprio sul sacro suolo di Pontida. Se poi Umberto quel giorno si sentisse bene e volesse fargli un regalone, una sua comparsata sarebbe bingo.
Orbán oppure Le Pen, e magari l’Umberto, così il martire avrebbe già fatto e chiuso anzitempo tutti i congressi della Lega e blindato a doppia mandata la sua segreteria. Sì, ci sarà pure il generalissimo Vannacci, che verrà a prendersi i suoi applausi. Del resto, un grazie se lo merita per le oltre cinquecentomila preferenze prese alle europee, che hanno tenuto a galla il Carroccio e la leadership salviniana. Ma a quel punto dell’apoteosi la presenza di Vannacci sarà funzionale e non oscurante, il gioco dell’applausometro sarà vinto da Matteo il martire, che con il corpo difende l’Italia.
In questo gorgo di estrema destra è tirato tutto il governo, anche il moderato Antonio Tajani, che d’estate parla di ius scholae e quando si aprono le scuole è intento a fare altro. Sfiducia nella magistratura, complotti e sospetti sotto i letti, spioni dietro le porte di Palazzo Chigi. Un ministro della Difesa che si sente spiato dai servizi segreti e a cui, addirittura, non passano informazioni riservate e necessarie allo svolgimento del suo lavoro istituzionale. Roba da far tremare le vene ai polsi perché se fosse vero, con tutto quello che accade nel mondo, significa che siamo nei guai. Ma poi interviene il sottosegretario Alfredo Mantovano: i servizi funzionano alla grande e sono correttissimi.
Eppure Fratelli d’Italia veleggia bene nei sondaggi, Forza Italia pure, mentre la Lega ha ancora le vele sgonfie. Ma il martirio può sollevare vento necessario a gonfiarle. Tutti davanti al palazzo del tribunale di Palermo, poi a mangiare pane, panelle e cazzilli al mercato del Capo, proprio girato l’angolo del palazzo.