Semaforo EllySchlein è diventata totalmente prodiana, soprattutto nel non fare niente

La segretaria del Pd ormai è un muro di gomma su tutto, tanto per lei l’importante è non forzare, non sbagliare mossa, perché è convinta che il campo largo presto si compatterà intorno a lei

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«Fermo… tranquillo…». Probabilmente Elly Schlein non ricorda Corrado Guzzanti quando imitava Romano Prodi, descritto come un semaforo, immobile, imperturbabile: era troppo piccola. Quello che è certo è che la leader del Partito democratico è proprio al leader dell’Ulivo che ispira i suoi comportamenti. E forse le porterà bene, presto per dirlo.

Come Prodi, Schlein non si scompone mai, non litiga con gli alleati nemmeno quando questi le ficcano un dito nell’occhio, come è successo ieri sul voto parlamentare sul Cda Rai, con Giuseppe Conte trattativista e lei pura e dura sull’Aventino.

È un muro di gomma quando i cronisti le fanno rilevare contraddizioni e incoerenze: il voto a Strasburgo sull’Ucraina? E che problema c’è, «la posizione è una sola, tutti hanno votato la mozione finale tranne Cecilia Strada e Marco Tarquinio che sono indipendenti», quando tutto il mondo sa che sul punto cruciale, quello delle armi a Kyjiv in grado di colpire i bersagli russi, il Partito democratico ha votato in modo difforme dal Pse dividendosi clamorosamente tra sì, no e assenti.

Ma lei è così, una professionista vera con l’aura della newcomer, animata da poche ma solide convinzioni. La prima delle quali è che c’è tempo, sa che il governo regge e le elezioni non sono esattamente dietro l’angolo, e che il tempo lavora per lei in un duplice senso: da una parte la forza delle cose sfiancherà Giorgia Meloni, dall’altra il trascorrere dei mesi dà margine a lei per costruire piano piano quello che va ancora costruito – perché in realtà non c’è nulla o quasi, né un’alleanza seria né tantomeno un programma forte.

La fiducia le deriva dalla certezza che, stante questa legge elettorale, i vari partiti del “campo largo” dovranno per forza unirsi e che il capolavoro autodistruttivo di Enrico Letta non verrà ripetuto, e si uniranno intorno a lei, unica candidata a Palazzo Chigi. Per cui è inutile, anzi controproducente, star lì a polemizzare un giorno con Giuseppe Conte e un altro con Matteo Renzi. Anzi, si scornino tra di loro così che lei potrà impersonare al meglio il ruolo di “federatrice” di cui fu insignita proprio da Prodi.

Dunque, avanti adagio, senza ledere la suscettibilità di alcuno del “campo” riservando le energie per attaccare Meloni, la grande rivale alle prossime elezioni, e intanto addormentare il dibattito nel Partito democratico, impresa mai riuscita a nessun leader, giocando non solo sul fatto che per la prima volta da quando cadde Walter Veltroni, cioè da quindici anni, non si pone il problema di sostituirla né alla guida del partito né, come detto, alla candidatura per la guida del governo.

E infatti le correnti hanno d’incanto smesso di riversare i loro fiumi di parole nelle asettiche stanze del Nazareno, dove la Direzione non si riunisce mai e se si riunisce è solo per ascoltare il verbo della segretaria. E così avviene pure nei gruppi parlamentari, in tempi lontani così vivaci, dove regna sempre un’unanimità persino da lei inattesa, come è accaduto nell’ultima riunione dedicata alla questione del Cda Rai, nessuno ha obiettato alcunché su una linea oggettivamente discutibile come quella dell’Aventino.

D’altronde stanno tutti sulla stessa barca guidata da Elly, attenzione a tenere la rotta, esiziale sarebbe agitarsi con il rischio di andare tutti a picco. Anche i più smaliziati e adusi alla trattativa, insomma quelli con movenze da Prima Repubblica tipo Francesco Boccia, ormai hanno trovato il modo di saldare il loro pseudo professionismo politico al mood più gruppettaro-populista della leader. E non parliamo dei riformisti, tranne i soliti coraggiosi tre o quattro, inabissatisi nel grande lago della conformità – non diciamo conformismo – alla linea della leader. La quale in effetti è mille volte più preoccupata di parlare «ai nostri» che ai mondi da espugnare, dentro una logica di ripiegamento che non solo è più facile a farsi ma soprattutto corrisponde alla natura profonda dello schleinismo inteso come comunità militante, in una miscela di Sessantotto, dossettismo e sentore di “Ditta”.

Elly “il semaforo” incede dunque seguendo una logica inerziale della vicenda politica, non potrà che succedere questo, è inevitabile che accada quest’altro, la cosa importante è non strappare, non forzare, non accelerare. Sente che il tempo è dalla sua parte, come cantavano i Rolling Stones, basta non sbagliare mossa: ci pensa il semaforo a regolare il traffico, tutto il resto verrà naturalmente da sé, come la primavera che segue l’inverno.

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