Assenzio e artemisia sono quasi la stessa cosa, nel senso che entrambi appartengono alle Asteraceae, la stessa famiglia cosmopolita diffusa in 350 varietà in Europa, America, Asia e Australasia nelle zone temperate, sia dell’emisfero boreale che di quello australe, di solito in habitat asciutti o semi-asciutti. In più, si assomigliano molto e sono entrambe erbe molto comuni, diffuse soprattutto nelle zone montane. Ma sono due specie diverse, l’Artemisia absinthium e l’Artemisia vulgaris, e, come capita talvolta anche ai parenti, hanno reputazioni completamente differenti.
Fama sulfurea, quella dell’assenzio in versione distillato ad alto tasso alcolico, legata ai poeti maledetti e a celebri quadri francesi d’autore. Creato sul finire del Settecento da un medico francese, Pierre Ordinaire, allo scopo di sfruttare i tanti effetti benefici erboristici dell’assenzio maggiore, divenne ben presto il veleno preferito da artisti, scrittori e bohémien parigini. Si potrebbe allestire una piccola mostra riunendo tutte le opere che tra la fine del diciannovesimo secolo e i primi anni del Novecento sono state dedicate alla «fata verde» e ai suoi effetti, non esattamente benefici, sugli esseri umani.
Da Manet, a Degas, a Raffaelli, a Toulouse-Lautrec, a Casas, a Picasso, a Oliva, Spilliaert, eccetera, i ritratti dei bevitori di assenzio, nella varietà degli stili, hanno in comune lo sguardo perso. Merito, si fa per dire, del tuione, un composto chimico psicoattivo che agisce sul sistema nervoso centrale e che in dosi eccessive può indurre allucinazioni fino al delirium tremens e alla morte.
Ecco perché, dopo aver conosciuto una grande popolarità come componente di aperitivi e liquori, soprattutto in combinazione con altre piante aromatiche come l’anice, la melissa, l’issopo, il finocchio, finì per essere vietato in molti Paesi, tra cui l’Italia, perché considerato tossico e pericoloso. Absintismo divenne sinonimo, in peggio, di alcolismo. In Francia fu rapidamente sostituito da una specialità marsigliese, il pastis.
A lungo gli orfani della fata verde hanno ricercato i suoi spiriti nel Pelinkovac, un digestivo a base di pelin, cioè assenzio macerato nell’alcol, diffuso nei paesi balcanici e di ignota quantità di tuione. Poi, dal 1992, dopo una lunga battaglia legale, l’assenzio è tornato legale in tutta l’Europa, anche se solo la Francia e la Svizzera si sono premurate di stabilire le regole e le dosi corrette per poterlo definire assenzio. L’unico dato comune e rilevante è un contenuto appropriato e controllato del famigerato tuione.
Tutt’altra storia per l’Artemisia vulgaris, reginetta delle erboristerie, invocata per un’ampia serie di disturbi e problemi. Secondo la medicina popolare e la tradizione, infatti, è una pianta diuretica, amaro-tonica, emmenagoga, antispasmodica, sudorifera, febbrifuga, colagoga, sedativa, antielmintica, anoressizzante e digestiva. Viene utilizzata anche nella medicina tradizionale cinese e giapponese per la moxibustione, ovvero la preparazione della moxa (dal giapponese moe kusa, «erba che brucia»), una medicina ottenuta triturando in un mortaio la pianta fino a ricavare un impasto con cui si preparano delle palline o dei coni che, appoggiati su punti specifici della pelle corrispondenti ai punti dell’agopuntura, vengono bruciati.
L’artemisia è citata nei trattati di medicina di Ippocrate, come rimedio per espellere la placenta; Dioscoride la consigliava per accelerare il parto, i Greci e i Romani la usavano contro il malocchio. Ma, come indica il suo nome, forse ispirato alla dea greca della caccia, Artemide, simbolo della verginità e strettamente legata alla Luna e alle sue fasi, è un antispasmodico ancora oggi alla base di preparati per ridurre i dolori del ciclo mestruale. Inoltre, in cosmesi è nota per le proprietà antiossidanti, antibatteriche e lenitive, e quindi viene impiegata in preparati per pelli sensibili, soggette ad arrossamenti o con malattie dermatologiche come rosacea, eczema e psoriasi.
Torna utile anche in cucina: le foglie, cotte o crude, aiutano la digestione e per questo in molte zone sono preparate soprattutto come condimento a cibi grassi, le cime sono buone fritte. Inoltre, si possono usare anche come infuso, o per aromatizzare la birra.
Fra le tante varietà, poi, ce n’è una, l’artemisia genepì Weber, da cui in Valle d’Aosta si ricava un liquore molto piacevole e pieno di virtù, anche se meno carismatico dell’assenzio, il Génépy.
A piccole dosi, comunque, e sapendo gestire la sua potenziale tossicità, anche l’assenzio ha proprietà stimolanti e toniche, da cui il suo uso in vari amari e vermut, ed entrambe le piante hanno proprietà antinfiammatorie e antispasmodiche.
Le foglie di assenzio, inoltre, lasciate in macerazione per qualche giorno, diventano un buon insetticida naturale e innocuo contro parassiti, bruchi e lumache.