A Trieste, dove è popolarissimo, gli hanno appena dedicato un liquore, il Krenzest, adatto per preparare, insieme al Prosecco, lo SpritzKren, ennesima, ma piacevole, variante sul tema. A idearlo, mescolando scorze di limone e radice di kren, è stato Fabio Pisani, titolare della Trattoria Al Moro, un locale che serve piatti tipicissimi, dove il kren non manca nella sua versione più classica, fresco, grattugiato sopra il prosciutto cotto in crosta in crosta di pane, o sul prosciutto cotto affumicato tipo Praga, o sul bollito misto, con a fianco un po’ di senape.
Ma l’uso del cren è comune anche in tutta la regione, e in Veneto e compare come ingrediente in piatti tradizionali come l’agnello al cren.
In Südtirol, e in Alto Adige, si preferisce usarlo con lo speck, ed è antica usanza altoatesina portarne alla messa di Pasqua per farlo benedire, così che possa allontanare i serpenti per un anno dalla casa di chi lo consuma.
In Germania, ma anche nella cucina ebraica askenazita – dove il chrain è uno dei condimenti classici, che compare anche nel gefilte fish –, in Russia e nell’Est Europa, si usa molto come salsa per accompagnare affettati, carni bollite, pesce affumicato e altre pietanze: si ricava dalla radice grattugiata macinata e ridotta in pasta, con l’aggiunta di aromi come aceto, pangrattato, mela ed eventualmente un po’ di zucchero.
Un’altra variante si ottiene dal cren grattugiato con panna montata, yogurt, maggiorana ed erba cipollina. Ma si può fare anche la zuppa di cren, con un fondo di porro e burro a cui si aggiungono patate, cren grattugiato e brodo e, prima di servire, cren fresco.
Se Trieste celebra il kren con un liquore, a Godia, vicino a Udine, uno chef stellato, Emanuele Scarello, nello storico ristorante Agli Amici, lo abbina a retaggi regionali di mare e di terra con un piatto ardito e famoso, le mazzancolle con salsa al cren e meringhe di polenta.
Retaggi austroungarici, e non solo, per una radice che riaffiora qua e là in Italia e nel mondo, dal Nord del Friuli-Venezia Giulia, dove è anche usato come pianta ornamentale grazie ai suoi bei fiori bianchi, al Sud della Basilicata, dove la radice fresca è un ingrediente essenziale dello ‘ndrupp’c, o “intoppo”, il ragù fatto con diverse carni tipico di Potenza. Grattugiato sul sugo, in aggiunta al formaggio, diventa nel lessico locale, u tartuf’ d’i povr’ òmm, il tartufo dei poveri.
Sempre a Potenza, le sue foglie vengono utilizzate per aromatizzare minestre a base di verza, oppure si utilizza per preparare la rafanata, una frittata che si mangia a Carnevale e il cui nome viene da rafano, che è un altro nome del kren (o cren), altrimenti detto barbaforte, o rafano di Spagna, o rafano orientale e, volendo arrivare fino ai parenti meno stretti, remolaccio.
In effetti, non è proprio e sempre la stessa cosa, ma sono minime variazioni sul tema per una radice che fa parte di molte cucine e di molte culture, dall’Europa all’America settentrionale all’Asia. I frequentatori dei ristoranti giapponesi l’identificano con il wasabi, o ravanello giapponese, per via della pasta verde e piccante che accompagna, insieme al gari, lo zenzero marinato, i piatti a base di pesce crudo. In effetti non è proprio così, perché si tratta di una variante autoctona giapponese della stessa famiglia, quella delle Brassicacee, o Crocifere, di cui fanno parte anche senape, rucola, ravanelli e crescione.
La radice del wasabi, però, perde quasi subito il suo sapore pungente. Per questo è difficile trovare l’hon-wasabi, il wasabi autentico fuori dai ristoranti tradizionali giapponesi. Spesso, quello che si mangia è invece il rafano europeo, aggiustato con spezie e colorato in verde con l’alga spirulina. Un trucco innocente, ma vale la pena, appena possibile, provare il wasabi vero: difficile reperirlo nei negozi, più facile ordinarlo online.
La preparazione delle ricette a base di rafano è in genere semplice, ma richiede qualche accortezza: intatta non ha quasi aroma e solo quando viene tagliata o grattugiata, si attivano degli enzimi che sprigionano il tipico sapore piccante e aromatico che ricorda, ma è molto più intenso, quello del ravanello. Ecco perché il rafano grattugiato deve essere utilizzato immediatamente o al massimo conservato in aceto. La polpa, una volta esposta all’aria o al calore, imbrunisce e perde sapore, diventando semplicemente amara.
Nel Regno Unito il condimento a base di rafano si chiama horseradish sauce ed è molto usata con le bistecche e le costate, ma anche con il salmone, e le patate, mentre negli Stati Uniti il rafano è uno degli ingredienti della salsa russa, usata per condire sandwich, tra cui il famoso Reuben sandwich, hamburger e insalate.