Dopo due anni e mezzo di brutale aggressione e di crescenti prove di crimini di guerra commessi dai soldati russi, alcune persone fuori dall’Ucraina si aggrappano ancora alla speranza che la realtà di ciò che sta accadendo in Ucraina non sia così cupa come sembra: una nazione di quasi centocinquanta milioni di persone non può sostenere l’invasione del suo vicino e i soldati russi non hanno altra scelta che obbedire agli ordini – è la guerra di Vladimir Putin.
Ma la realtà è triste. La gente deve fare i conti con il fatto che un uomo apparentemente normale, con una famiglia, con le sue speranze e i suoi sogni, può partecipare all’invasione di un Paese in cui commette atti di tortura, stupro e omicidio. È questa capacità di crudeltà – la sua abilità di sopprimere la sua umanità, se mai è esistita veramente – che lo rende così terrificante.
Hannah Arendt ha esplorato questa inquietante verità nel suo libro del 1963, “La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme”. Sullo sfondo del processo ad Adolf Eichmann, un alto funzionario nazista che contribuì a orchestrare la logistica dell’Olocausto, Arendt scrisse di come il male si manifesti non in aberrazioni mostruose che appartengono al regno delle fiabe, ma in individui che scelgono di seguire ordini orribili senza troppe esitazioni o introspezioni.
L’incapacità del mondo di comprendere appieno la minaccia rappresentata dalla Russia ha permesso agli apologeti del genocidio di trovare una base all’interno di alcune delle più stimate istituzioni culturali del mondo. Un documentario che tenta di umanizzare, attraverso la nebbia della guerra, i soldati russi che combattono una guerra di aggressione contro l’Ucraina, non solo è stato proiettato di recente alla Mostra del Cinema di Venezia e sarà presto presentato al Toronto Film Festival, ma, a quanto risulta, ha anche ricevuto finanziamenti dal governo canadese.
La regista di “Russians at War”, la canadese Anastasia Trofimova, sostiene di essersi «segretamente» integrata con le truppe russe che combattono nella loro guerra di aggressione contro l’Ucraina senza ottenere il permesso del Ministero della Difesa russo. (Forse i suoi contatti con la rete statale russa Russia Today, che ha prodotto molti dei suoi precedenti documentari, sono sfumati). Nella presentazione del film alla stampa, l’autrice ha detto di non voler «giudicare» i soldati russi e di aver scoperto che si trattava di «ragazzi assolutamente normali con senso dell’umorismo». Gli intervistatori si limitano ad ascoltare e ad annuire.
È sconvolgente sentire queste dichiarazioni, soprattutto dopo aver visto le foto di Yaroslav Bazylevych al funerale della moglie e delle tre figlie, uccise nell’attacco russo del 4 settembre a Leopoli, una città dell’Ucraina occidentale. È surreale dopo aver parlato con gli amici di Nika Kozhushko, un’artista di talento di diciotto anni uccisa nell’attacco russo del 30 agosto a Kharkiv, una città dell’Ucraina orientale. È davvero sconcertante, mentre in sottofondo risuona la sirena di un raid aereo. Sicuramente abitiamo due mondi diversi.
Anche se devo ancora vedere il documentario completo, i commenti di coloro che hanno assistito alla proiezione alla Mostra del Cinema di Venezia, insieme ai filmati disponibili nel trailer online, hanno iniziato a delineare un quadro piuttosto chiaro. Nulla di ciò che ho sentito o visto suggerisce che si tratti di un film contro la guerra. Nel trailer, ad esempio, un soldato afferma che l’Ucraina e la Russia sono «inseparabili» e che gli manca «l’unione fraterna». In questo modo si trascura il fatto che, sia nell’Impero russo che nell’Unione Sovietica, la lingua e la cultura russa erano dominanti. In diversi periodi storici, questo dominio è stato imposto attraverso la sottomissione violenta degli ucraini e di altri gruppi. Ciò che questo soldato esprime in realtà è la nostalgia per un’epoca in cui allo Stato nazionale ucraino è stato negato il diritto di esistere.
E in che modo i russi cercano di dimostrare agli ucraini di essere nazioni fraterni? Lanciando missili balistici e droni che uccidono i civili, riducendo le città in macerie, occupando le città, portando coloro che resistono in scantinati, violentando donne e bambini, giustiziando i soldati ucraini fatti prigionieri, inviando i bambini ucraini rapiti nelle regioni più lontane della Russia… La portata dei crimini di guerra russi commessi in Ucraina è sconcertante, con l’Ufficio del Procuratore Generale che ha documentato centoquarantunomila e settecentotrentanove casi fino ad oggi. Finché la guerra su larga scala continuerà, questo numero non potrà che crescere.
La Trofimova, regista di “Russians at War”, ha dichiarato pubblicamente di non aver assistito a crimini di guerra durante il suo periodo al fronte. Ma cosa sta suggerendo, che i sopravvissuti a queste atrocità siano in qualche modo in errore? Le loro testimonianze devono essere valutate meno delle sue? Facendo queste affermazioni, si impegna in una narrazione pericolosa, seminando dubbi su quella che dovrebbe essere una verità chiara e innegabile: la Russia sta conducendo un genocidio contro l’Ucraina e coloro che lo compiono devono essere chiamati a risponderne.
Voler guardare attraverso la nebbia della guerra e umanizzare questi soldati russi serve solo a ritrarli in una luce simpatica. Dovremmo forse dire: «Certo, Misha ha violentato una donna ucraina davanti ai suoi figli piccoli, ma ha i suoi figli a casa, quindi non può essere così cattivo, giusto?».
Nella guerra contro l’Ucraina, i soldati russi hanno scelto consapevolmente di partecipare, così come loro stessi e i loro concittadini hanno scelto di permettere al presidente russo Vladimir Putin di rimanere al potere e di supervisionare l’ascesa di un regime sempre più autoritario. Mentre alcune famiglie russe si dichiarano «indifferenti» alla politica, altre sono profondamente radicate nella propaganda di Stato che inonda i loro schermi televisivi, tanto da essere disposte a denunciare i propri figli per aver tentato di fuggire dal Paese ed essersi sottratti al servizio militare. La stragrande maggioranza dei russi è responsabile di questa guerra. Non è solo la guerra di Putin, è anche la loro.
Descrivere i soldati russi come semplici «strumenti di un gioco politico più ampio», come suggerisce la Trofimova, si avvicina pericolosamente a riecheggiare gli stessi argomenti propagandati dal governo russo, come il presunto diritto della Russia di invadere per fermare l’invasione della Nato nella sua sfera di influenza.
Non sono sempre le voci roboanti della televisione di Stato che gridano di voler conquistare Kyjiv in tre giorni a rappresentare la minaccia più grande. Più nefaste sono le voci apparentemente neutrali – quelle che affermano di fare solo domande, senza alcuna fedeltà se non quella alla verità. Questi scettici silenziosi, che alimentano l’incertezza in una narrazione altrimenti chiara, possono infliggere il danno maggiore. Il momento in cui iniziamo a confondere la verità è il momento in cui le falsità rischiano di essere accettate come verità.
È nostra responsabilità rifiutare categoricamente qualsiasi tentativo di scusare o riabilitare i crimini di guerra russi commessi in Ucraina e fare in modo che la sofferenza delle vittime della Russia non venga dimenticata o minimizzata: è il minimo che possiamo fare per le decine di migliaia di ucraini a cui hanno rubato e distrutto la vita.
Questo articolo è stato pubblicato originariamente in inglese su The Kyiv Independent