Teresa Ribera, la candidata spagnola alla nuova Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen, è considerata da tempo la favorita alla vicepresidenza con delega alle politiche verdi. Nonostante la sua ottima reputazione sia in Spagna che a Bruxelles, la sua corsa potrebbe incontrare nei prossimi mesi un ostacolo che per alcuni Paesi dell’Unione è diventato negli ultimi anni quasi insormontabile: le sue posizioni contrarie all’energia nucleare, inclusa nell’elenco delle attività economiche eco-sostenibili (la tassonomia) dell’Ue.
Ribera, nata a Madrid nel 1969, ha iniziato la sua carriera come funzionaria pubblica all’interno del ministero spagnolo delle Opere pubbliche, dei Trasporti e dell’Ambiente nel 1995 ed è arrivata nel 2004 a dirigere l’Oficina española de cambio climático, l’organo che si occupa di aiutare l’esecutivo a sviluppare le politiche ambientali. Da lì, il salto alla politica è stato semplice: nel 2008, infatti, Ribera è stata nominata segretaria di Stato per il Cambiamento climatico durante il secondo governo del presidente socialista Luis Rodríguez Zapatero.
Con la vittoria del centrodestra nel 2011, Ribera ha deciso di trasferirsi a Parigi, dove ha assunto la direzione dell’Istituto per lo sviluppo sostenibile e le relazioni internazionali (Iddri), diventando in parallelo anche consulente per il Forum economico mondiale. Sette anni dopo, è tornata in Spagna e ha accettato la proposta del nuovo presidente socialista, Pedro Sánchez, che le ha offerto la guida di un nuovo ministero, dedicato alla Transizione ecologia e alle Sfide demografiche, nonché un posto da vicepresidente del governo.
Negli ultimi sei anni, Ribera ha promosso numerose e ambiziose misure per l’ambiente e per il clima, a partire dalla prima legge spagnola sul cambiamento climatico e sulla transizione energetica, che contiene un piano per la chiusura graduale delle centrali nucleari nazionali entro il 2035 e un nuovo piano idrologico 2022-2027 da ventidue milioni di euro. A livello locale, Ribera ha anche ottenuto un importante accordo con il presidente della regione Andalusia, Juan Manuel Moreno Bonilla, per fermare una controversa legge che avrebbe legalizzato l’irrigazione illegale nelle aree circostanti il parco nazionale di Doñana, una riserva naturale ricca di biodiversità, e promosso regolamenti più severi sull’uso di fertilizzanti agricoli e per migliorare la gestione delle acque reflue nella zona del Mar Menor, una laguna costiera nel sud-est della Spagna (regione di Murcia).
Nei suoi anni come ministra per la Transizione energetica, Ribera si è attirata qualche critica da parte delle associazioni ambientaliste, che la accusano di promuovere un «capitalismo verde» e di aver dato il via libera ad alcuni progetti controversi come il gasdotto MidCat. Le grandi aziende energetiche, invece, l’hanno criticata soprattutto per aver introdotto nel 2022 una tassa sulle imprese del settore il cui fatturato superi il miliardo di euro annuo. Nonostante tutto, Ribera è considerata una figura di spicco dell’esecutivo di Sánchez, con una forte influenza sia a livello nazionale che europeo.
A Bruxelles, infatti, Ribera si è fatta notare nel 2022 con la sua “eccezione iberica”, la misura temporanea, in vigore da giugno 2022 fino a maggio 2023, pattuita da Spagna e Portogallo con la Commissione europea per mettere un limite al prezzo del gas utilizzato per produrre energia elettrica in seguito alla crisi energetica scatenata dall’invasione russa dell’Ucraina. Un anno dopo, alla Cop28 a Dubai, in programma durante il semestre della presidenza spagnola al Consiglio europeo, la ministra è stata il volto dell’Ue, nonché una delle voci più critiche nei confronti delle posizioni dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec) in difesa dei combustibili fossili, che Ribera è arrivata a definire pubblicamente come «ripugnanti». Inoltre, a fine 2023, la ministra è anche riuscita a ottenere la firma dell’accordo tra Consiglio dell’Unione europea e Parlamento europeo sulla riforma del mercato elettrico.
Ora, a separarla dall’ambita vicepresidenza con delega alle politiche verdi, ci sono le audizioni organizzate dai legislatori del Parlamento europeo, durante le quali l’argomento principale non sarà tanto il suo curriculum, quanto le sue posizioni contro l’energia nucleare. Nel 2022, infatti, la ministra ha criticato apertamente la decisione dell’Unione europea di includere il nucleare nella tassonomia, definendola «un grande errore» e sostenendo che «né il nucleare, né il gas soddisfano i criteri scientifici e legali per essere considerati sostenibili»
Non si tratta della prima volta che Ribera attacca, in maniera anche molto decisa, alcune decisioni della Commissione o della presidente Ursula von der Leyen. Nel 2020, ad esempio, aveva criticato la legge sul clima definendola «insufficiente» perché non stabiliva obiettivi specifici per ogni Paese né traguardi intermedi prima del 2050. A un mese dalle ultime elezioni europee, inoltre, Ribera aveva definito la disponibilità di von der Leyen a rallentare l’agenda verde delle istituzioni europee «un atteggiamento di rassegnazione enormemente dannoso per gli interessi» dell’Unione .
Le sue posizioni contro il nucleare, tuttavia, potrebbero andare ben oltre tutto questo. L’energia nucleare fornisce infatti poco meno del ventisei per cento dell’elettricità dell’Unione europea, nonostante i reattori siano operativi solo in tredici dei ventisette Paesi membri (tra cui, appunto, la Spagna). Approfittando del rinnovato interesse per l’energia atomica risvegliato dalle conseguenze della guerra in Ucraina, una coalizione di Paesi guidata dalla Francia ha dichiarato lo scorso anno di voler aumentare la capacità nucleare dell’Unione del cinquanta per cento entro il 2050.
E sono proprio questi Paesi, ossia Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Bulgaria, Romania, Polonia, Finlandia e Francia, che potrebbero far dirottare la vicepresidenza al Green deal europeo su altri commissari, come il candidato ceco Jozef Síkela, ex ministro dell’Industria e del Commercio, o lo slovacco Maroš Šefčovič, alla Commissione europea dal 2009. Oltre a questa coalizione di Paesi, anche i membri del Partito popolare europeo stanno pensando a un’alternativa a Ribera tra le loro file, come ha confermato l’europarlamentare Peter Liese a Politico.