Inverno demograficoDa Berlusconi a Meloni, vent’anni di bonus bebè non sono serviti a fare più figli

Nella legge di bilancio è stata annunciata la “Carta per i nuovi nati” da mille euro per le famiglie con Isee fino a quarantamila euro. Ogni governo ha confezionato il suo contributo per la natalità, ma i sostegni economici non sono serviti: nel 2004 sono nati 562.599 bambini, nel 2023 sono stati circa trecentosettantanovemila

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«È il presidente del Consiglio a scriverti per porti probabilmente anche la prima domanda della tua vita: lo sai che la nuova legge finanziaria ti assegna un bonus di mille euro?». Era il 2004, Silvio Berlusconi inviava queste lettere prestampate e firmate a tutti nuovi nati, purché non fossero primogeniti. Vent’anni dopo, nella legge di bilancio del governo Meloni torna la stessa misura da mille euro, rinominata però “Carta per i nuovi nati” dalla presidente del Consiglio che a Palazzo Chigi è arrivata urlando «basta bonus».

Un filo rosso da Berlusconi a Meloni. Ma nel mezzo, quasi tutti i governi, di ogni colore e sfumatura politica, hanno proposto la propria versione del «bonus bebè» come misura di contrasto alla denatalità, seguendo il ragionamento secondo cui non si fanno figli per una questione di soldi e quindi basta un assegno o un voucher per convincere gli italiani a farli. Ovviamente, se siamo ancora tra i Paesi più anziani al mondo, è evidente che i soldi pubblici non sono serviti ad alzare il tasso di fecondità.

Il risultato è che in vent’anni non solo non abbiamo fatto più figli, ma i nuovi nati hanno continuato a calare: nel 2004 nascevano 562.599 bambini, nel 2023 sono stati trecentosettantanovemila circa. Mentre le politiche per la famiglia si sono frammentate in mille rivoli, con bonus una tantum e occasionali, ciascuno con un’etichetta politica ad hoc.

Nel 2006, Romano Prodi, in campagna elettorale contro Berlusconi, promise addirittura «un assegno pari a 2.500 euro all’anno per ogni bimbo dai 0 ai 3 anni e fino alla maggiore età». Arrivato a Palazzo Chigi, il Professore alla fine spalmò i fondi per la famiglia tra assegni familiari, congedi e detrazioni. Mentre regioni e comuni, per rimpiazzare il bonus statale, nel frattempo si inventarono la propria versione del contributo ai nuovi nati.

Con il ritorno di Berlusconi al governo, nel 2009 tornano anche i bonus. Ma, questa volta, nella versione di un “Fondo per i prestiti alle famiglie con nuovi nati”, che offriva condizioni più vantaggiose per la restituzione delle somme. La misura si rivelò un flop. Venne richiesta da pochissime famiglie. E con l’arrivo d’urgenza del governo Monti, fu subito cancellata.

Anche il governo dei tecnici introdusse un incentivo economico, ma in versione austerity. Nella riforma Fornero sul lavoro, venne inserito un bonus sperimentale di tre anni di 300 euro mensili per un massimo di sei mesi per favorire il rientro delle madri al lavoro dopo la maternità, destinati a coprire le spese per asilo nido e baby sitter, in alternativa però al congedo parentale. Il bonus durò fino al 2019, rinnovato e rimpolpato fino a 600 euro, esteso anche alle lavoratrici autonome, finché arrivò la decisione del governo Cinque Stelle-Lega di non rinnovarlo.

Di governo in governo, il presidente del Consiglio Enrico Letta rispolverò il Fondo di credito per i nuovi nati per la concessione di prestiti agevolati a chi faceva un figlio. Ma la misura non ebbe neanche il tempo di partire. Dopo pochi mesi, arrivò l’algido passaggio della campanella con Matteo Renzi, che nel pacchetto famiglia fece scorta di bonus: un bonus bebè da 80 euro per un anno per le famiglie con un Isee fino a venticinquemila, più un “Bonus mamma domani”, una sorta di premio alla nascita di 800 euro a prescindere dal reddito familiare, che in realtà altro non era che un esonero contributivo. Paolo Gentiloni, arrivato al governo dopo Renzi, nel 2017 ammise: «Sì, il bonus bebè sarà una misura estemporanea, ma almeno è una spinta a fare figli. Se poi riusciamo a rendere queste spinte più strutturali, ovviamente è molto meglio».

Il governo gialloverde Conte 1, quello a guida Lega-Cinque Stelle, confermò i bonus renziani, con un lieve aumento delle risorse. Con il Conte 2 e la maggioranza giallorossa, arrivò invece il Family Act, con l’assegno unico universale per semplificare e riunire sotto un unico cappello tutte le misure precedenti, dai bonus bebè alle detrazioni. L’assegno però è entrato ufficialmente in vigore con il governo Draghi dal 2021 ed è rimasto in piedi con il governo Meloni. Che ora, in aggiunta, rilancia la Carta magica «per i nuovi nati» da mille euro, all’interno di una manovra finanziaria altrimenti poco entusiasmante e all’insegna dei «sacrifici».

«Il nome alla misura lo darà la presidente del Consiglio», ha detto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. I mille euro sono destinati ai «nuovi italiani dell’anno prossimo», ma solo per le famiglie con Isee entro i quarantamila euro. In realtà, si sa ancora poco della misura, come dovrà essere richiesta e da chi. Quello che già si sa, però, vent’anni dopo le lettere di Berlusconi, è che avrà effetti nulli sul rilancio della natalità italiana.

Come ha spiegato il Financial Times, il calo dei tassi di natalità, anche nei Paesi con le più forti politiche di sostegno alla famiglia, come Finlandia e Norvegia, dimostra che fare o non fare un figlio è una decisione che va al di là dei sostegni economici, più o meno cospicui. Il New York Times ha messo in evidenza come il Giappone, dopo trent’anni di incentivi economici contro l’inverno demografico, continui a essere ancora il Paese più vecchio al mondo con un tasso di natalità in caduta dell’1,3 per cento. In Italia, dopo vent’anni di bonus e assegni, siamo all’1,25 per cento. E i mille euro della “Carta per i nuovi nati” non faranno la differenza.

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