La vocazione agricola accompagna la storia del nostro Paese fin dall’antichità, ma solo in tempi recenti, dopo che si è cominciato a osservare l’effetto delle pratiche messe in atto, si è iniziato a riflettere su come si stava facendo agricoltura. Per decenni infatti si è guardato più alla quantità delle coltivazioni che alla conservazione dell’ambiente, fino a quando ci siamo accorti che la necessità di conciliare le esigenze agricole, produttive ed economiche con quelle naturalistiche è diventata un’esigenza non più procrastinabile. Il tutto in aggiunta ad altre questioni come una massiva cementificazione degli spazi e alti livelli di inquinamento.
Un tema che ha particolarmente colpito l’opinione pubblica è stato quello legato alle conseguenze di tutto ciò sulla salute delle api. Il Time nell’agosto 2013 ha dedicato loro la copertina (“A world without bees, the price we’ll pay if we don’t figure out what’s killing the honeybee”), nel 2017 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha istituito la Giornata Mondiale delle Api (il 20 maggio), e sempre più enti e associazioni si dedicano alla tutela di questi e altri insetti impollinatori.
Per capirne il motivo e comprendere la portata del problema non occorre scomodare Einstein e attribuirgli dubbie profezie, basta osservare i dati. Il calo nella popolazione di api (soprattutto api selvatiche, che sono quelle più a rischio) sembra inarrestabile: in Europa quasi la metà delle specie di insetti è in grave declino e un terzo è in pericolo di estinzione, il nove per cento delle specie di api e farfalle è minacciato di estinzione e il 37 per cento delle popolazioni di api sta diminuendo drasticamente. Il declino della popolazione delle farfalle è arrivato al 31 per cento (Ispra, dati 2020).
Eppure, sempre come riporta Ispra, il novanta per cento circa delle specie di piante da fiore selvatiche del mondo e il settantacinque per cento delle specie mondiali di interesse agrario dipendono per la loro riproduzione, interamente o in parte, dall’impollinazione operata da animali. Dunque un legame vitale che ora è in pericolo.
Ogni soggetto può fare la sua parte per migliorare questa situazione, dalle istituzioni al singolo cittadino, dalle scuole ai comunicatori e così via, ma attori molto rilevanti come le grandi aziende sono quelli che con le proprie scelte possono ottenere risultati di maggior impatto ed efficacia.
Apripista in questo specifico tema è Mulino Bianco, marchio del Gruppo Barilla, celebre nel nostro Paese per i prodotti da forno che dal 1975 accompagnano le colazioni e le merende di un gran numero di famiglie. Le strategie aziendali improntate alla sostenibilità sono diverse, dall’utilizzo di energia proveniente interamente da fonti rinnovabili all’impiego di confezioni al cento per cento riciclabili, ma uno strumento di cui l’azienda è particolarmente fiera, e che riassume il suo impegno nel coinvolgere anche gli altri attori della filiera nelle buone pratiche agricole, è la “Carta del Mulino”. Si tratta di un disciplinare di agricoltura sostenibile che Mulino Bianco ha dedicato alla farina di grano tenero e che prescrive dieci regole che gli agricoltori aderenti si impegnano a seguire, con l’obiettivo di ottenere una produzione di alta qualità proteggendo al tempo stesso la biodiversità.
Il progetto è partito nel 2019, ha raccolto duecento adesioni nel 2020 e oggi ne conta oltre duemila, per quarantacinquemila ettari coltivati, arrivando a una produzione totale di oltre 300.000 tonnellate di grano la cui farina viene adoperata in più di cento tipologie di prodotti, ovvero circa il settanta per cento delle referenze totali. Le regole vanno dalle certificazioni di sostenibilità al divieto di utilizzo di glifosate (una sostanza chimica presente negli erbicidi sospettata di cancerogenicità), dal piano di rotazione delle colture alla tracciabilità di prodotto, dalla digitalizzazione attraverso la piattaforma dedicata alla garanzia di trasferimento di valore lungo tutta la filiera.
Una regola in particolare però è quella che ha fatto sì che questa azienda anticipasse molte altre nelle azioni a tutela della biodiversità, ovvero la numero tre: ai coltivatori che aderiscono alla carta è chiesto di riservare alla semina di miscele di varie specie vegetali (senza utilizzo di trattamenti chimici) il tre per cento della superficie dedicata alla coltivazione del grano tenero destinato a Mulino Bianco. Nascono così i “Fiori del Mulino”, aree caratterizzate da una fioritura progressiva e prolungata che permettono l’insediamento d’insetti impollinatori, di predatori naturali dei parassiti e di altri animali, favorendo la biodiversità presente nelle zone agricole e salvaguardandone l’ecosistema.
Oggi questi spazi hanno superato i duemila ettari di superficie e i risultati sono molto positivi: una ricerca scientifica condotta dall’università di Bologna ha misurato i benefici sull’incremento in termini di biodiversità e di numero di specie di insetti utili e specie vegetali e, confrontando i terreni in cui sono presenti i “Fiori del Mulino” con quelli senza, si è osservato un aumento in quattro anni del 64 per cento di api selvatiche, del 42 per cento di farfalle e del 40 per cento di sirfidi.
Oltre al beneficio per l’ecosistema, anche il paesaggio ne guadagna, grazie alla presenza di un maggior numero di zone ricche di colori e profumi che fanno la gioia non solo degli impollinatori. Per riconoscere e valorizzare questo beneficio anche dal punto di vista estetico l’azienda ha ideato un concorso fotografico che premia il campo fiorito più bello tra quelli dei coltivatori che aderiscono alla Carta del Mulino.
Nell’edizione 2024 una giuria composta da Wwf (partner dell’iniziativa) e Mulino Bianco ha selezionato i migliori venti scatti fotografici e tra questi i consumatori hanno votato il vincitore, che è stata l’Azienda Agricola Ferrarini Lorenzo di Mirandola.
In occasione della premiazione, che si è tenuta in Academia Barilla a Parma il 26 settembre, Laura Signorelli, marketing director di Mulino Bianco, ha espresso grande soddisfazione per il progetto: «Questo concorso annuale vuole riconoscere il ruolo di migliaia di aziende agricole che, aderendo alla Carta del Mulino, si impegnano a coltivare il grano in modo sostenibile e diventano parte di un progetto di difesa della biodiversità. È emozionante vedere come la promessa di natura, che da sempre fa parte della nostra comunicazione, si traduca in azioni concrete. Ma soprattutto, sapere che questo impegno un giorno diventerà parte di un biscotto, una merenda o una fetta di pane, ci riempie di orgoglio».
La stessa giornata è stata poi occasione per ascoltare un confronto sul tema che ha dato voce anche agli altri soggetti coinvolti nel progetto. Eva Alessi, responsabile sostenibilità di Wwf, ha ricordato che al giorno d’oggi raggiungere obiettivi come la conservazione dell’ambiente, la riduzione dell’impronta umana e delle emissioni di gas serra sia impossibile senza il coinvolgimento delle imprese. «Bisogna pensare un futuro nature positive: non basta più ridurre e mitigare, ma occorre costruire, ripristinare, ricreare, rendere gli ecosistemi più vitali e rigenerativi, mettendo in campo azioni che modificano le politiche e le prassi delle aziende. Si può continuare la produzione e non intaccare il reddito con le giuste strategie aziendali, informando il consumatore e preparandolo a scegliere la sostenibilità, perché è proprio così che si condizionano le imprese e le legislazioni».
Giuseppe Manno è il fondatore di Apicoltura Urbana, una realtà che si occupa della salvaguardia delle api promuovendo e sostenendo l’apicoltura in contesti cittadini tramite formazione, fornitura di materiali e kit, possibilità di adozione di alveari a distanza e altre attività finalizzate alla tutela della biodiversità. È stato lui a creare, in collaborazione con il Wwf, il primo Mulino della Api, una struttura a forma di casetta studiata per ospitare le api selvatiche o solitarie che qui trovano rifugio, contribuendo a preservare la specie.
Oggi i bug hotel distribuiti in tutta Italia alle oltre duemila aziende agricole che aderiscono al progetto sono seicento e anche la loro realizzazione è improntata alla sostenibilità (il bambù impiegato è italiano e non importato, e sono costruite da una falegnameria sociale che dà lavoro a detenuti ed ex detenuti). Il consiglio di Giuseppe Manno è di contribuire al sostegno degli impollinatori anche nel piccolo di un balcone, seminando fiori e, se si ha un giardino, dedicando spazio a piante che aiutano questi insetti, tanto più che essi amano molte specie che possiamo utilizzare anche noi in vari modi, come salvia, lavanda e rosmarino. Piccoli bug hotel possono essere costruiti in casa, semplicemente facendo buchi in pezzi di legno o usando cannucce di bambù, per dare una mano a questi insetti che in contesto urbano faticano a trovare il proprio habitat o un luogo dove nidificare.
Dunque l’iniziativa di Mulino Bianco pensa al problema nella sua interezza, dal recupero e creazione di nuovi spazi fioriti alla distribuzione di rifugi per gli insetti, l’intero ciclo vitale naturale è tutelato e i risultati sono entusiasmanti, come conferma Eva Alessi: in queste fasce fiorite infatti dai dati raccolti risulta che è migliorata sia l’abbondanza (di ben dieci volte) che la diversità degli impollinatori presenti (di quattro volte).
La bontà del progetto ha raggiunto anche i consumatori, che grazie alla comunicazione, fatta sia tramite le confezioni dei prodotti che i canali di informazione, hanno potuto conoscere quanto Mulino Bianco sta mettendo in pratica da un lato per la tutela della biodiversità e dall’altro per garantire la qualità dei prodotti realizzati con farina sostenibile. Questo però per Mulino Bianco non è un punto di arrivo, l’impegno va mantenuto costante, come richiede il disciplinare stesso, dato che la certificazione impone il miglioramento di anno in anno. E tra gli obiettivi futuri più importanti c’è quello della rigenerazione, uno step che rende necessario continuare a coinvolgere tutti gli stakeholder, a partire proprio dai coltivatori.