PravdaLa nuova strategia russa in Africa, con ciò che resta della Wagner

Il Cremlino sta intensificando la sua influenza nel continente attraverso l’African Initiative, promuovendo propaganda e stringendo alleanze, mentre affronta sfide come l’aumento della violenza jihadista in Mali e Niger. Nonostante gli sforzi di disinformazione, Ong e attivisti locali si impegnano a contrastare questa narrazione

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A giugno un gruppo di giornalisti e blogger provenienti da Mali, Ghana e altri paesi africani ha partecipato a un viaggio a Mosca, visitando alcuni dei territori ucraini occupati, come la martoriata città di Mariupol. Non si tratta della prima iniziativa di questo tipo: già a maggio un gruppo di blogger del Mali era stato portato a Melitopol, nell’oblast di Zaporizhzhia. L’obiettivo di questi tour è stringere legami con gli operatori dei media africani per diffondere la propaganda russa con maggiore efficacia. 

Alle delegazioni di partecipanti sono stati mostrati gli edifici ricostruiti in tutta fretta nelle città ucraine rase al suolo dagli invasori, che spesso sono «villaggi Potëmkin», luoghi di facciata ideati per mostrare una normalità posticcia e celare i crimini di guerra commessi dai russi. I media di regime hanno diffuso video interviste ai giornalisti africani in cui elogiano l’architettura russa e la ricostruzione degli insediamenti ucraini occupati. La giornalista ghanese Ivy Priscilla Setordjie, per esempio, ha poi scritto sul suo sito che la regione di Zaporizhzhia si trova «nella Russia europea meridionale».

A organizzare questi viaggi è stata l’African Initiative, un’agenzia di stampa creata nel 2023 dal regime russo insieme a Wagner, ora noto come Africa Corps. L’African Initiative dispone di un sito web e di vari canali Telegram con decine di migliaia di follower in inglese, francese, arabo e russo diretti al pubblico dei diversi paesi africani. 

La strategia russa nel continente non è nuova e si basa sul tentativo di spezzare i legami tra l’Africa e l’Occidente, facendo leva sulla retorica anticoloniale. Questo approccio ha trovato terreno fertile nei paesi del Sahel, come Mali, Burkina Faso e Niger, dove i colpi di stato militari hanno costretto la Francia a ritirarsi dalla regione.

L’Ecowas, la Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale, ne è uscita gravemente indebolita e le giunte golpiste hanno costituito un’organizzazione regionale alternativa: l’Alleanza degli Stati del Sahel (Aes). Le truppe di Parigi e Washington sono state sostituite dai mercenari del defunto Evgeny Prigozhin, che si sono già macchiati di numerosi crimini contro le popolazioni locali. All’aeroporto di Niamey, in Niger, la base un tempo abitata dai militari americani adesso ospita i russi, mentre in un’altra caserma dello scalo stazionano i soldati italiani della missione Misin, unici occidentali rimasti.

L’African Initiative rappresenta un salto di qualità della strategia del Cremlino, che non si limita più a cercare alleanze con i militari o a sfruttare le risorse naturali: ora punta a infiltrarsi profondamente nella società africana, utilizzando il soft power per generare simpatia verso la Russia e consolidare, nel lungo termine, la sua influenza sulla regione.

Parte fondamentale di questo piano è coltivare una rete di giornalisti, influencer e blogger africani che possano comunicare la propaganda russa, toccando le corde più sensibili di ciascuna comunità locale. Così, oltre a Ivy Setordjie, anche il giornalista maliano Robert Dissa e il blogger ghanese Raymond Kojo Agbadi tessono le lodi di Mosca nei loro rispettivi paesi e ripetono la versione di Putin sulla guerra. 

Non è stato difficile per la Bbc scoprire che, dietro la facciata dell’agenzia di stampa African Initiative, si nasconde il solito apparato del regime russo. Il direttore, infatti, è Artem Kureyev, un agente dell’Fsb, il servizio di intelligence russo, mentre la sua vice è Anna Zamaraeva, ex addetta stampa del gruppo Wagner. Un altro dipendente dell’agenzia è Viktor Lukovenko, un uzbeko precedentemente al servizio di Prigozhin.

L’African Initiative si appoggia anche alla rete di Gatingo, l’associazione di amicizia russo-africana con diverse filiali che viene usata da Mosca per reclutare persone di interesse e giustificare operazioni di influenza. La referente di Gatingo è Tatyana Tudvaseva, a sua volta in contatto con Igor Morozov, ex agente del Kgb, attualmente senatore e capo dell’Afrocom, il comitato di cooperazione economica russo-africana. 

Per ora, la rete di influenza russa si è concentrata principalmente sui paesi dove il gruppo Wagner ha messo radici, come l’Africa francofona, la Repubblica Centrafricana e la Repubblica democratica del Congo. Il cuore della narrazione russa nel Sahel e delle giunte golpiste in Mali, Burkina Faso e Niger è l’idea che i governi democratici filoccidentali siano troppo deboli per contrastare la minaccia jihadista, e che serva invece una linea dura, con l’appoggio di Wagner. Eppure, questo modello autoritario e brutale non ha fatto arretrare i terroristi, ma al contrario li ha rafforzati.

A luglio, nell’estremo nord del Mali, una colonna di Wagner è stata distrutta in un’imboscata dei ribelli Tuareg, forse aiutati dalle forze speciali ucraine. A settembre, i terroristi di Al Qaeda sono arrivati fino alla capitale Bamako e hanno attaccato l’aeroporto, infliggendo gravi perdite alle forze governative. Queste azioni rappresentano un duro colpo per la propaganda russa in Africa, perché fanno crollare la narrazione secondo cui l’uso delle maniere forti avrebbe garantito maggiore sicurezza e stabilità.

Gli appetiti del Cremlino non si limitano al Sahel e alla Françafrique, ma mirano a espandersi anche nei paesi anglofoni e costieri della regione. Ecco perché ad agosto, nel nord della Nigeria, si sono verificate delle proteste con bandiere russe, che facevano leva sul fallimento del governo di Abuja nel gestire la minaccia terrorista di Boko Haram e l’insicurezza diffusa. 

Anche in Ghana, altra ex colonia britannica, alcuni attivisti locali hanno provato a organizzare una manifestazione con magliette di Wagner e bandiere, supportati sui social dal noto propagandista russo Simeon Boikov, noto come Aussie Cossack. Nel 2022, Adib Saani, un analista di sicurezza ghanese, ha pubblicato online un commento in cui affermava di non considerare affatto Wagner come una minaccia per il suo paese. Saani ha scritto che le relazioni diplomatiche con la Russia sarebbero state gravemente danneggiate dalla collaborazione del governo di Accra con gli Stati Uniti per arginare la presenza di Wagner. Ha anche accusato gli occidentali di fare uso di mercenari, un classico argomento della propaganda del Cremlino. Il commento di Saani è stato prontamente ricondiviso dall’account di X dell’ambasciata russa in Ghana.

Anche il piccolo stato del Togo è oggetto delle attenzioni di Mosca, perché il porto della capitale Lomé rappresenta un prezioso sbocco sul mare per l’esportazione verso la Russia delle risorse naturali estratte in Burkina Faso, Mali e Niger. Perciò da febbraio un gruppo di consiglieri militari russi si è stabilito in Togo per intensificare la cooperazione, con il pretesto di combattere i jihadisti nel nord. 

Altrettanto a rischio è il Benin, dove nei giorni scorsi è stato arrestato il capo della guardia presidenziale con l’accusa di preparare un golpe. Porto Novo, la capitale del Benin, rappresenterebbe un porto alternativo per esportare le materie prime razziate dai russi in Niger e Burkina Faso.

Se Mosca riuscirà a destabilizzare altri paesi della regione o ad assumerne il controllo, potrà perseguire la sua agenda che viaggia su due binari: sfruttare le risorse per alimentare la sua economia di guerra e intensificare l’ostilità verso l’Occidente, che si traduce in astensioni alle Nazioni Unite quando si tratta di condannare l’invasione dell’Ucraina. 

Esistono organizzazioni non governative e reti di attivisti africani, fact-checker e giornalisti impegnati a smentire la disinformazione russa, ma la bassa alfabetizzazione e la libera diffusione di canali come Russia Today e Sputnik (banditi in occidente) non aiuta ad arginare la minaccia. La Ong lituana Debunk e l’Africa Center for Strategic Studies americano hanno organizzato corsi per decine di giornalisti e analisti in Senegal, Costa d’Avorio, Kenya, Ghana e Nigeria per riconoscere le reti occulte di disinformazione e costruire gli anticorpi per impedire la manipolazione dell’opinione pubblica in paesi ancora fragili.

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