È difficile, almeno per me, non condividere l’amarezza e lo sconcerto di Yaryna Grusha, dinnanzi al lungo elenco delle piccole e grandi capitolazioni dell’Occidente nel confronto con l’imperialismo russo cui abbiamo dovuto assistere soltanto nel settembre del 2024. Dalle parole di Donald Trump sull’Ucraina che semplicemente «non esiste più» (se avete l’impressione di averla già sentita, non vi sbagliate: consideratelo il biglietto da visita dei propagandisti del Cremlino) a Olaf Scholz che starebbe pensando di fare una telefonatina a Vladimir Putin in vista del prossimo G20, passando per le dichiarazioni di Juan Antonio Samaranch sulla possibilità di riammettere la Russia ai Giochi Olimpici, la proiezione di un film di propaganda russa alla mostra del Cinema di Venezia e il voto di quasi tutti i deputati italiani al parlamento europeo contro il permesso all’Ucraina di colpire obiettivi militari sul territorio russo.
Il settembre del 2024 in Ucraina è iniziato diversamente. «I missili russi – ricorda Grusha – hanno ucciso più di cinquanta persone, ferendone altre duecento, nella città di Poltava, mai colpita gravemente prima. Il 4 settembre è stata colpita una palazzina residenziale a Lviv, che ha seppellito una famiglia intera, la madre e tre splendide figlie. In questi giorni ci ha scosso la notizia che anche il professore del Politecnico di Lviv, rimasto ferito in quell’attacco, è deceduto nell’ospedale. Un altro uomo, ferito in quell’attacco, ha perso la vista definitivamente.
A settembre, i russi hanno lanciato ogni notte, ripeto ogni notte, attacchi con droni iraniani sulle città ucraine. Solo l’altro ieri, l’antiaerea ucraina ha respinto settantotto droni iraniani su centocinque lanciati dai russi. Abbiamo anche assistito in diretta all’esecuzione di sedici soldati ucraini, da prigionieri, da parte dei russi in violazione di qualsiasi legge internazionale sui prigionieri di guerra».
Il lettore mi perdonerà, ma troverei persino di cattivo gusto contrapporre a questo crudo elenco di fatti le sofisticate considerazioni dei nostri geopolitologi da talk show (Putinversteher, come li chiamano in Germania, cioè “capitori” di Putin, della primissima ora) o le lezioni di realismo politico di certi improbabili discepoli di Kissinger, fosse anche solo per contestarle. Per non parlare dei comizietti biforcuti degli esponenti della nostra sinistra più o meno radicale, che dovrebbe andare a scuola da Carola Rackete (o semplicemente tornare a scuola tout court, a dare una ripassatina alla storia del novecento). Non per niente Rackete, al parlamento europeo, ha compiuto una scelta ben diversa da loro, spiegandola con parole di cristallina chiarezza. «Essere di sinistra – ha detto – vuol dire stare dalla parte degli oppressi, siano essi in Palestina, in Kurdistan o in Ucraina: per questo l’Ue deve continuare a fornire armi a Kiev e consentirle di attaccare sul territorio russo». Parole limpide e pienamente condivisibili, da cui purtroppo si deduce che la sinistra italiana non esiste.