Questo mese il Media and Journalism Research Center (Mjrc), uno dei più rispettati istituti di ricerca europei sulla libertà dei media, ha pubblicato lo State Media Monitor, un’imponente analisi comparativa sullo stato dei media statali e pubblici nel mondo. L’edizione di quest’anno contiene dati su centosettanta paesi, per un totale di seicentouno media pubblici e statali analizzati: l’ottantaquattro per cento di questi media subisce un alto livello di influenza da parte del governo del paese in cui opera, secondo il report.
Uno dei punti di forza del lavoro di ricerca del Mjrc è la metodologia seguita, che permette di mappare i differenti media pubblici e statali con un alto grado di dettaglio. Si è spesso tentati, infatti, di dividere il panorama mediatico in media pubblici e media privati, e di ritenere i primi come poco indipendenti di default, in quanto più soggetti alle pressioni e alle interferenze dei governi. Il panorama dei media pubblici è, in realtà, molto più variegato di questa distinzione grossolana.
La dicotomia sommaria media pubblici/media privati non solo trascura il fatto che esistono svariati casi di media pubblici e statali pienamente indipendenti – come spiegato sotto – ma porta a ignorare un dato evidente in molti stati, Italia inclusa: numerosi media privati sono proprietà di imprenditori che hanno legami diretti coi governi dei propri paesi, o sono interessati ad averli. Sebbene indipendenti sulla carta, quindi, la linea editoriale di questi media è spesso fortemente influenzata dagli interessi – suggeriti o imposti – dei propri editori.
La centralità di un servizio pubblico di qualità e pienamente indipendente è allora fondamentale per garantire alle sfere pubbliche nazionali livelli accettabili di libertà e pluralismo, anche a fronte del fatto che i media statali sono spesso gli unici accessibili fuori dai grandi centri.
Per offrire una panoramica accurata, la metodologia del Mjrc suddivide i media pubblici e statali in sette categorie, in base alla combinazione di tre fattori: finanziamento (indipendente o statale); amministrazione (indipendente o statale); strategia editoriale (indipendente o statale). I dati vengono raccolti da tre tipi di fonti diverse (atti legali e dichiarazioni pubbliche di esponenti del governo; articoli, report di ong e pubblicazioni accademiche; interviste con esperti nazionali) e poi incrociati tra loro per assegnare un dato media statale a una data categoria.
Questa tipologia identifica quattro categorie di media pubblici variamente indipendenti. Limitandosi all’Europa, media statali pienamente indipendenti nei tre ambiti considerati (finanziamento, amministrazione e strategia editoria) esistono, per esempio, nel Regno Unito (Bbc) e in Germania (Ard).
In totale, il report del Mjrc ne conta diciotto nel mondo, di cui tredici in Europa, principalmente in Europa occidentale, ma anche in Portogallo, Lituania, Cechia e Slovenia. In cinque macro-aree del globo – Eurasia, Africa subsahariana, America Latina, Medio oriente e Africa settentrionale – non esiste invece alcuna forma di media pubblico classificabile come pienamente indipendente.
Ci sono poi casi di media statali indipendenti a livello finanziario ed editoriale, ma controllati dallo stato, come la francese Arte, e di media indipendenti a livello amministrativo ed editoriale, ma finanziati direttamente dallo stato, come la tedesca Deutsche Welle.
Alcuni media statali possono, infine, essere sia finanziati che controllati dallo stato, ma godere comunque di un alto livello di autonomia editoriale: è il caso delle tre emittenti regionali in Belgio (la francofona Rtbf, la neederlandofona Vrt e la germanofona Brf). Seppur con diversi livelli di interazione con lo stato, tutti i media ascritti a queste quattro categorie di media statali possono essere classificati come indipendenti.
Le tre categorie di media pubblici che il Mjrc non considera indipendenti, invece, sono: media teoricamente privati ma de facto controllati e finanziati dal governo, come la gran parte dei media più popolari in Serbia, Ungheria e Turchia; media pubblici che non sono del tutto interamente finanziati dallo stato, ma dove sono le autorità governative a nominare l’amministrazione e a influenzare la linea editoriale, come nel caso della Rai; media pubblici finanziati e amministrati direttamente dal governo, che esercita anche una fortissima influenza sulla linea editoriale.
Secondo l’analisi del Mjrc, questo modello, dove i media pubblici sono praticamente gestiti come organi di propaganda per l’esecutivo, resta il più diffuso in Europa centro-orientale (Polonia e Slovacchia), Balcani (Albania, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria e Romania) ed Europa meridionale (Turchia, Grecia, Malta). Lo studio nota un aumento di questo tipo di media pubblici interamente in mano al potere esecutivo rispetto all’anno scorso: erano ventiquattro nel 2023, sono trentuno oggi.
Il caso più eclatante identificato dal report in Europa riguarda lo smantellamento del servizio pubblico slovacco, e la sua sostituzione con un organismo controllato direttamente dal governo e dalla maggioranza parlamentare che lo sostiene (caso descritto nella prima puntata di Illiberalia), ma anche le emittenti regionali in Spagna assomigliano sempre più a megafoni dei rispettivi governi regionali, per esempio in Catalunya, Canarie e Aragona, secondo il Mjrc.
Per i governi dei paesi più influenti, inoltre, i media pubblici oggi non sono più solo uno strumento per influenzare l’opinione pubblica nazionale, ma un’arma strategica per raggiungere pubblici transnazionali. Lo studio del Mjrc osserva, infatti, che molte potenze globali, sia regimi variamente autoritari (Russia, Cina e Turchia) che democrazie liberali (Stati Uniti, Francia e Regno Unito), stanno consolidando i propri network informativi globali per rivolgersi a utenti in altri paesi.
I servizi pubblici di Cina e Russia si sono dimostrati particolarmente attivi in questo campo, arrivando a siglare collaborazioni o accordi commerciali con attori analoghi in diverse regioni; l’azione dei media cinesi in Africa e Asia sudorientale è uno degli esempi più visibili di questo fenomeno.
Anche questo attivismo transnazionale ha contribuito a consolidare il ruolo dei governi nella gestione del servizio pubblico, passato dalla tradizionale influenza (spesso indiretta e informale) a un più diretto controllo sui processi di confezionamento e diffusione delle notizie.
Le strategie editoriali di un numero crescente di media statali vengono sempre più definite in uffici governativi, declassando questi media e i giornalisti che vi lavorano al rango di meri esecutori, senza alcuna voce in capitolo nel decidere cosa, come e quando sia giusto pubblicare.