Dopo due anni e mezzo dall’invasione dell’Ucraina, per la prima volta si sta iniziando a parlare seriamente di pace. Non nel senso dato dai pacifisti all’amatriciana che per tregua intendono sottomissione militare alla Russia, ma una reale ipotesi di negoziato. Come gli àuguri dell’Antica Roma, alcuni analisti hanno predetto un favorevole allineamento dei pianeti geopolitici dato dalle elezioni negli Stati Uniti del prossimo 5 novembre e la presentazione a Washington di qualche settimana fa del piano della vittoria del presidente ucraino Volodymir Zelenksy.
A Varsavia il cielo è sorprendentemente terso per una giornata di metà ottobre, ma il vice ministro della Difesa polacco Pawel Zalewsky non sembra particolarmente affascinato da questo allineamento di pianeti. È convinto che la guerra durerà ancora e che non bisogna abbassare la guardia contro la Russia, soprattutto in questo momento: «La pace, ovviamente, è desiderata da tutti, ma chi la vuole deve rivolgersi a Putin: è lui che ha iniziato la guerra. Quindi la pace dipende dalle sue intenzioni. Quanto alla possibilità di un cessate il fuoco o di uno stallo, guardando la situazione sul campo, non vedo segnali in tal senso. La decisione finale spetta agli ucraini. Il nostro compito come Occidente unito nella Nato e nell’Unione europea è difendere il diritto internazionale che la Russia cerca di violare. Questo è il punto centrale. Si parla tanto di pace, ma cosa significa veramente? Non mi pare che Putin condivida queste aspettative».
Al Parlamento europeo di Strasburgo Viktor Orbán ha affermato che è tempo di un cambio di rotta nella politica verso la guerra. Visto che il premier ungherese sarà fino a dicembre il presidente del Consiglio dell’Ue, teme che possa condizionare le scelte europee?
È vero che Orbán ha un’influenza, inquinando il dibattito sull’Ucraina, e ha anche un impatto concreto, come quando blocca i rimborsi ai Paesi che inviano armi all’Ucraina. Tuttavia, non sovrastimerei il suo potere. Stiamo arrivando a un punto in cui l’Europa dovrà decidere se tollerare Paesi che vanno contro i suoi valori fondamentali. L’eccessiva tolleranza verso Orbán potrebbe compromettere non solo la politica verso l’Ucraina, ma anche l’integrità dell’Unione Europea stessa.
Oltre alla guerra sul campo, c’è anche la guerra di disinformazione. È preoccupato che la propaganda russa possa indebolire i governi europei che sostengono l’Ucraina, compresa la Polonia?
La disinformazione è sempre stata parte della guerra, ma oggi è amplificata dai social media. È uno strumento chiave per Putin, come lo era anche in passato. Da ex ufficiale del Kgb conosce bene il potere della disinformazione, e la Polonia è un bersaglio privilegiato, dato che il novanta per cento del supporto militare all’Ucraina passa attraverso di noi. L’obiettivo di Mosca è seminare dubbi sull’efficacia della resistenza ucraina, cercando di dividere la Polonia dai suoi alleati della Nato e dell’Unione Europea.
La disinformazione russa è potenziata dalle nuove tecnologie, come l’intelligenza artificiale. Come si può affrontare questa minaccia, specialmente durante le prossime elezioni di metà 2025 per eleggere il prossimo presidente della Repubblica polacca?
La resilienza contro la disinformazione, soprattutto quella che sfrutta l’intelligenza artificiale, è cruciale. Dobbiamo trovare soluzioni a livello europeo e fare pressione sui nostri partner internazionali che usano l’IA in modo improprio. La regolamentazione dell’IA sarà una delle sfide più grandi, e dobbiamo affrontarla con la nostra forza economica e in collaborazione con Paesi che condividono i nostri valori, come gli Stati Uniti.
Gran parte del confine polacco coincide con quello della Bielorussia. Qual è il vostro atteggiamento verso Minsk? Lo considerate un nemico separato da Mosca?
No, purtroppo, il regime di Lukashenko è ormai uno degli strumenti di Putin. Lukashenko sacrifica la sovranità della Bielorussia pur di mantenere il potere, sempre più dipendente da Mosca. La presenza di armi nucleari russe in Bielorussia è un segnale chiaro del suo allineamento con Putin. Non vediamo Minsk come un problema isolato, ma come parte del più ampio progetto imperialista della Russia.
La Polonia ha un ruolo chiave nel fronteggiare i regimi di Russia e Bielorussia, ma c’è anche la questione della difesa europea. Cosa dovrebbe fare l’Unione Europea per rafforzare la difesa comune?
Quando parliamo di difesa militare, l’Ue ha un ruolo limitato ma comunque importante. Dobbiamo rafforzare le nostre capacità di stabilizzare il vicinato e intervenire dove necessario per garantire la sicurezza. La minaccia principale resta la Russia, e l’Ue ha molti strumenti per affrontarla, in parallelo con la Nato. Durante la nostra presidenza, la sicurezza sarà una priorità, con particolare attenzione ai fondi per il Fondo Europeo per la Pace e a progetti come Edidp. C’è dibattito su come utilizzare questi fondi: alcuni Paesi, come la Francia, preferiscono progetti europei, ma crediamo sia necessario collaborare anche con partner esterni, come gli Stati Uniti e la Corea del Sud, perché l’industria europea della difesa non è ancora in grado di soddisfare tutte le nostre esigenze.
Per anni gli Stati dell’Europa occidentale hanno sottovalutato gli avvertimenti degli Stati baltici e orientali riguardo alla Russia. Se tra un anno si dovesse raggiungere una pace o un cessate il fuoco, come dovremmo gestire i rapporti con Putin?
Non sappiamo quando arriverà la pace, e nel mio ruolo al ministero della Difesa sono concentrato sulla situazione attuale. Non vedo alcun segnale che Putin sia disposto a trattare seriamente. Capisco che si parli di ricostruzione, ma non so quando questo potrà accadere. Zelensky è consapevole che tutti sono stanchi della guerra, ma gli scontri tra le parti in gioco sono ancora troppo forti perché si possa immaginare una soluzione realistica a breve termine. Forse tra sei mesi le cose cambieranno, magari con una nuova amministrazione negli Stati Uniti, ma per ora non ci sono elementi che facciano pensare a una svolta. Questa guerra, però, va oltre l’Ucraina e il diritto internazionale: riguarda il modo in cui governeremo i nostri Paesi.
Stiamo assistendo all’uso improprio di organizzazioni internazionali come Interpol da parte di Paesi autoritari, come Russia, Cina e Bielorussia, per perseguitare dissidenti. Qual è la strategia per contrastare questo fenomeno, soprattutto con Paesi partner come quelli dell’Asia centrale o la Cina?
È una questione complessa. Dobbiamo rafforzare la resilienza delle nostre democrazie attraverso l’educazione e una comprensione più profonda della politica. Tuttavia, nell’era delle informazioni di massa e dei social media, è sempre più difficile. L’informazione è diventata un’arma non solo nelle mani dei nostri nemici, ma anche all’interno delle nostre democrazie. Servono strategie coordinate a livello europeo, e l’Unione Europea è la piattaforma ideale per svilupparle.
Intervista realizzata da Linkiesta assieme a Radio Rai, il Messaggero, European Council on Foreign Relations, Federazione Italiana Diritti Umani e Italian Digital Media Observatory