Legittima difesaRimuovere i divieti per colpire la Russia è un passo decisivo per la liberazione dell’Ucraina

Il diritto e la prassi internazionali prevedono che un Paese terzo possa fornire assistenza militare a uno aggredito senza che ciò comporti la qualifica di belligerante. Europa e Stati Uniti hanno l’obbligo morale di mandare armi a Kyjiv per respingere l’invasione di Vladimir Putin

AP/Lapresse

In un accorato discorso radiofonico pronunciato il 27 maggio 1941, Franklin Delano Roosevelt sostenne la necessità di rifornire di armamenti la Gran Bretagna (allora unico baluardo contro la tirannide nazista) con queste parole: «Si può fare. Si deve fare. Sarà fatto!». In quel momento, la furia di Adolf Hitler si abbatteva su tutta l’Europa mentre Erwin Rommel avanzava in Nord Africa. Sostenere la Gran Bretagna diventava per gli Stati Uniti d’America un imperativo morale. Il sostegno a nazioni vittime di aggressione è divenuto poi il cardine dell’ordine internazionale post Seconda Guerra Mondiale. 

Per questo, a seguito della vile e brutale aggressione russa dell’Ucraina, l’Unione Europea, la Nato e gli Stati Uniti non hanno esitato a fornire assistenza a Kyjiv. Ma le armi e i sistemi di difesa aerea non sono bastati all’esercito ucraino per ottenere significativi vantaggi sul campo pur contribuendo a cristallizzare il conflitto nell’attuale situazione di stallo. Un risultato certamente importante vista la disparità nella disponibilità di munizioni e missili tra i due contendenti. 

La Russia, infatti, può permettersi di bombardare costantemente le città ucraine senza distinguere tra obiettivi civili e militari. L’Ucraina, invece, deve rispettare i caveat dei paesi fornitori di armi e in particolare il divieto di colpire il territorio russo. Più volte il presidente Zelensky ha chiesto ai suoi alleati di rimuovere tale divieto, ma le reticenze prevalgono in un Occidente timoroso di un allargamento e di una escalation nucleare del conflitto.

Come è stato giustamente notato, però, le sguaiate minacce nucleari di Putin sembrano essere solo un gioco psicologico per scoraggiare gli alleati dell’Ucraina, i quali potrebbero trovare un possibile appiglio per rimuovere il divieto nelle norme del diritto internazionale vigente. 

L’aggressione russa è una violazione del divieto di uso della forza. Due conseguenze principali discendono da tale violazione. In primo luogo, le vittime possono far ricorso a misure di autotutela e adottare contromisure proporzionate all’aggressione stessa. In secondo luogo, le contromisure adottate non sarebbero considerate come violazioni ulteriori del diritto internazionale poiché attuate in applicazione del principio di legittima difesa, sancito dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. 

Tale diritto può essere esercitato individualmente o collettivamente. Ma in quali forme? Ebbene, il diritto e la prassi internazionali ammettono che tale diritto, se esercitato in maniera collettiva, possa comprendere anche la fornitura di armi e assistenza militare allo stato aggredito senza che questo comporti la qualifica di «belligerante» per quanti partecipino alla legittima difesa dell’aggredito. 

La domanda che bisognerebbe porsi a questo punto è se la partecipazione alla legittima difesa si esaurisca nella sola fornitura di armi oppure se l’uso che viene fatto di tali armi possa dar luogo a una responsabilità dello stato fornitore. In altre parole, una volta che le armi sono state fornite all’Ucraina, chi le fornisce può essere considerato responsabile dell’uso che quest’ultima ne fa foss’anche per attaccare l’aggressore? 

Guardando alla prassi della Corte Internazionale di Giustizia e in particolare alla sentenza del 1986 sulle Attività militari e paramilitari in Nicaragua sembrerebbe possibile rispondere negativamente. Nel caso citato, gli Stati Uniti furono condannati sulla base di un elemento soggettivo: la volontà dello stato estero (in questo caso gli Stati Uniti) di modificare la condotta interna di un altro stato. La fornitura di armi ai contras (bande armate che si opponevano al governo legittimo) violava le norme del diritto internazionale e in particolare il divieto di usare la forza armata e di non ingerenza negli affari interni di un altro stato in ragione del fatto che l’obiettivo degli Stati Uniti fosse il rovesciamento del governo nicaraguense. 

Se ne deduce che qualora manchi l’elemento soggettivo (cioè la volontà di aggredire un altro stato) non sia possibile ritenere responsabile uno stato terzo per l’uso che viene fatto delle proprie armi dallo stato aggredito. Cioè, in presenza di un’aggressione armata e dell’esercizio del diritto di legittima difesa collettiva l’uso che l’esercito ucraino farebbe delle armi fornite dai propri alleati non comporterebbe la responsabilità di quest’ultimi e non configurerebbe da parte loro alcuna violazione delle norme di diritto internazionale vigenti. E ciò sia perché lo scopo della fornitura di armi è ripristinare la situazione ex-ante l’aggressione e non aggredire la Russia, sia perché tale fornitura avviene nell’ambito dell’esercizio di diritto di legittima difesa. Il che autorizzerebbe l’Ucraina a colpire il territorio russo. 

E poi c’è un ultimo punto. La Russia riceve forniture di materiale bellico da Iran e Corea del Nord. Con questo materiale costruisce le armi con cui colpisce le città ucraine. Se la teoria russa va nel senso di ritenere che chi fornisce armi a Kyjiv è in guerra con Mosca, dovremmo pensare anche che chi fornisce armi alla Russia sia in guerra con l’Ucraina? Basterebbe questo per ritenere l’argomento di Putin e dei suoi sgherri totalmente infondato. 

Per cui, la rimozione del divieto di utilizzo delle armi per colpire il territorio russo è un passo necessario per permettere di superare l’attuale fase di stallo della guerra e aiutare il popolo ucraino a liberarsi dal giogo della tirannide putiniana. Un passo che giuridicamente si può fare. Si deve fare. Ma sarà fatto?

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