«Non ha alcun senso giocare questa giornata». Diego Simeone, allenatore dell’Atlético Madrid, ha descritto cosìl’ultimo turno di campionato in cui la sua squadra ha dovuto affrontare il Las Palmas. Tre giorni prima, la regione di Valencia era stata devastata da una gravissima alluvione, i cui morti al momento hanno superato quota duecento e in cui le responsabilità accertate della politica locale sono piuttosto gravi. Eppure, nonostante la tragedia, il calcio spagnolo ha deciso di andare avanti, limitandosi a osservare un minuto di silenzio prima delle partite e a rinviare solamente quelle che si sarebbero dovute giocare nelle aree alluvionate, Valencia-Real Madrid e Villarreal-Rayo Vallecano, più altri tre incontri di seconda divisione.
La Liga non si è fermata davanti al disastro climatico e la cosa ha creato non pochi malumori nel mondo del calcio spagnolo. Anche l’allenatore del Barcellona primo in classifica, Hansi Flick, ha espresso il suo disappunto sulla scelta di non sospendere il campionato: «Fosse stato per me, avrei sospeso l’intero turno di campionato», ha detto sabato in conferenza stampa, facendo eco al collega argentino. Mancanza di sensibilità, dice qualcuno, ma ancora di più un problema logistico che è ormai sotto gli occhi di tutti: rinviare le partite per qualsiasi motivo è sempre più complicato.
Tra il campionato – destinato ad andare avanti fino al 25 maggio –, la Coppa del Re e le coppe europee, gli slot del calendario stagionale per recuperare le partite eventualmente rinviate sono pochissimi. La maggior parte di essi sono già occupati dalle competizioni della selezioni nazionali, oltre che dalla Supercoppa spagnola che si terrà a inizio gennaio 2025. Se per le squadre non coinvolte nei tornei internazionali (come nel caso delle quattro i cui incontri non si sono disputati) un recupero è difficile ma non infattibile, più complicata sarebbe la situazione di un club di primo piano come il Real Madrid. I blancos di Carlo Ancelotti, infatti, avranno a dicembre la Coppa Intercontinentale in Qatar, e la prossima estate il Mondiale per club negli Stati Uniti.
Per questo motivo, spostare un’intera giornata della Liga sarebbe stato un incubo logistico, e la diretta conseguenza è stata quella di dare vita a una situazione paradossale. In giro per il Paese si giocava regolarmente a calcio mentre a Valencia il principale club cittadino e i suoi giocatori erano impegnati a distribuire beni di prima necessità agli sfollati, mentre il resto dei soccorritori spalavano il fango e cercavano i dispersi. Ferrán Torres, attaccante valenciano del Barcellona, attualmente a riposo per un infortunio, ha preferito non andare allo stadio a seguire i suoi compagni («Non ne ho la forza», ha scritto su Instagram) e ha accusato la politica per aver abbandonato i suoi conterranei.
Ancora più grottesco quel che ha dovuto passare Vicente Moreno, il tecnico dell’Osasuna. Costretto a guidare la sua squadra dalla panchina sabato contro il Real Valladolid, appena finito l’incontro è corso nella sua città natale, Massanassa, per andare a spalare il fango dalle strade. Prima della partita, invece, aveva partecipato alla conferenza stampa pregara, dove è scoppiato a piangere.
La situazione spagnola ha riportato in primo piano una questione molto sottovalutata nel calcio europeo, non ultimo in quello italiano. I calendari intasati sono criticati principalmente per via del sovraffollamento televisivo del pallone e per via dell’aumento degli infortuni dei giocatori, ma come si è visto ora possono generare anche contraddizioni dovute al bisogno di giocare a tutti i costi. Lo scorso 25 ottobre un caso simile si era verificato in Serie A, quando le autorità cittadine di Bologna avevano deciso di rinviare l’imminente gara tra la squadra locale e il Milan, a causa dell’alluvione in Emilia Romagna.
La Lega di Serie A aveva inizialmente valutato di giocare l’incontro in un’altra regione, e addirittura l’eventualità di dare la sconfitta a tavolino al Bologna. Il presidente del Milan Paolo Scaroni aveva definito «incomprensibile» la decisione di rinviare la partita. Sabato scorso, i tifosi rossoblu hanno risposto non proprio gentilmente al dirigente rossonero e alla Serie A, esponendo uno striscione molto duro contro di loro e fischiando l’inno del campionato italiano prima della gara col Lecce.
Davanti a cause di forza maggiore, lo sport dovrebbe fare un passo indietro, o almeno così vorrebbe il buon senso: muoversi nelle sempre più strette maglie di un business di questo tipo si rivela però cosa tutt’altro che semplice. In Italia ce ne si era resi conto già durante la pandemia del Covid-19, quando nell’ottobre del 2020 Juventus-Napoli non si era disputata a causa di un divieto di trasferta imposto dall’Asl. Anche in quell’occasione, però, la Lega aveva cercato di far giocare lo stesso la partita, e ne era nata una grande polemica in cui gli aspetti sanitari erano passati del tutto in secondo piano. La battaglia per il ridimensionamento dei calendari stagionali può allora aggiungere un’altra freccia al proprio arco.