Lunedì 11 novembre prende il via a Baku, capitale dell’Azerbaijan, la Cop29, il summit dell’Onu sui cambiamenti climatici in programma fino al 22 novembre. I delegati di tutto il mondo si riuniscono per affrontare la crisi climatica e mettere in campo misure contro l’aumento delle temperature globali, seguendo gli impegni presi nell’ambito degli accordo di Parigi. Il meeting si apre con la sfilata dei capi di Stato e dei ministri dell’Ambiente, che lasceranno poi spazio ai negoziatori e ai cosiddetti sherpa, che preparano i materiali per i decisori politici. Ma sono stati tanti i forfait quest’anno da parte dei grandi del Pianeta.
Non ci sarà il presidente americano uscente Joe Biden, assente anche Ursula von der Leyen. Al suo posto, ci sarà il commissario olandese per l’azione climatica Wopke Hoekstra. Mancherà il presidente francese Emmanuel Macron, dubbi anche sulla presenza del cancelliere tedesco Olaf Scholz, alle prese con la crisi di governo. Dovrebbe invece esserci il premier britannico Keir Starmer, così come la presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni.
Il tema centrale della Cop29 sarà la finanza climatica, cioè l’afflusso di risorse soprattutto verso i Paesi in via di sviluppo che affrontano la transizione verso l’energia pulita. Ma nonostante l’istituzione di un fondo per “Loss and damage” alla precedente conferenza del Cairo, esistono profonde divisioni tra Paesi sviluppati e in via di sviluppo, che complicheranno i negoziati. A Baku si proverà a definire il New Collective Quantified Goal, passando dai cento miliardi di finanza climatica previsti a Copenhagen nel 2009 e raggiunti in ritardo nel 2022, ad almeno mille miliardi. Ma non è solo una questione di cifre: bisogna capire anche che tipo di finanza includere, se contributi a fondo perduto, prestiti o investimenti, e se fissare una deadline per il raggiungimento dell’obiettivo. E poi il dilemma principale è chi dovrà contribuire.
La Cina, pur essendo la seconda economia al mondo è considerato ancora Paese in via di sviluppo e avrà un ruolo cruciale nei negoziati, continuando a sostenere che i Paesi più industrializzati debbano assumersi maggiori responsabilità nella limitazione del riscaldamento globale entro l’obiettivo di +1,5°C oltre i livelli preindustriali.
Sullo sfondo, c’è il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, che porterebbe con sé subito dopo l’insediamento il ritiro degli Stati Uniti dagli impegni per il clima di Parigi come già fece nel 2016. Il presidente Joe Biden, che ha fatto poi rientrare gli Stati Uniti nell’accordo, invece non sarà a Baku, ma è atteso in Brasile, dove visiterà la Foresta Amazzonica Come ogni anno, nella Cop tutti i Paesi hanno voce, dalle piccole isole ai giganti del mondo, ma il peso specifico resta molto diverso. E il meccanismo con cui si adottano le decisioni finali è il cosiddetto consensus: non una conta dei voti, ma l’approvazione si ottiene in mancanza di obiezioni palesi. E come ogni anno sarà la presidenza, in questo caso azera, a orientare le discussioni e a spingere con i propri negoziatori per arrivare a un risultato.
Per l’Azerbaijan padrone di casa, petrolio e gas rappresentano il 92 per cento delle esportazioni. Ma sarebbe determinato a migliorare la sua immagine internazionale. Ma anche quest’anno si discute sull’opportunità di organizzare le conferenze in Paesi che sull’oil and gas hanno costruito il proprio benessere. Per non parlare della questione dei diritti umani, già posto nel 2022 in Egitto e nel 2023 a Dubai. Difficilmente in Azerbaijan assisteremo a manifestazioni di dissenso.