La realizzazione di un cortometraggio rappresenta il progetto conclusivo al termine di molti dei corsi di studio accademici per conseguire il diploma nelle discipline artistiche in ambito cinematografico. Che si tratti di specializzazione in regia, audio, o montaggio, questo mezzo permette grande flessibilità e sperimentazione a costi quasi irrisori, facendosi strumento essenziale per esplorare e praticare.
Nel minutaggio le immagini si permettono di sovrastare le parole, condensando le storie attraverso l’utilizzo di uno stile autoriale. Dai corti partono spesso anche i registi, autoproducendoli per emergere nel settore e approdare al film più lungo, maggiormente apprezzato da produttori e pubblico. Il formato con cui i fratelli Lumière ci hanno iniziato alla cinematografia riguadagna territorio fiancheggiando lungometraggi che raramente oggi riescono a rimanere sotto i centoventi minuti. Anche le piattaforme di streaming mainstream promuovono iniziative legate al cortometraggio, come l’esperimento di Wes Anderson che ne ha confezionati quattro, tratti dal catalogo di storie di Roald Dahl per Netflix: La meravigliosa storia di Henry Sugar, Il cigno, Il derattizzatore, Veleno.
La breve durata del prodotto permette di dedicarsi a progetti con temi specifici che non troverebbero spazio nel mercato del lungometraggio, proprio come è avvenuto per il corto Api, per la regia di Luca Ciriello, vincitore nella categoria Cortometraggio Documentaristico al 35mm Film Festival. Valle D’Aosta, un gruppo di ragazzini riuniti attorno alla passione per l’Apecar sfrecciano e truccano i motori 50cc dei loro mezzi. Nella nullafacenza estiva che contraddistingue le estati degli adolescenti si riuniscono di notte in parcheggi deserti. In sottofondo Extasi di Fred De Palma si alterna a Felicità, di Al bano e Romina Power. Uno squarcio della vita provinciale italiana in cui pur di intrattenersi un gruppo di giovani si appresta a riparare ape car, atteggiarsi guidando su due ruote e cercando di sfuggire alla polizia locale. Anche quando scende la notte le uniche luci accese sono quelle dei mezzi protagonisti di questo corto, pensiero costante di quella che viene definita dal regista la tribù delle Apecar.
Il progetto, evidenzia il regista, nasce da un atto di osservazione sul territorio valdostano, in particolare a Pollein. L’esercizio di avvicinamento alla comunità di adolescenti locali è avvenuto in primo luogo a telecamere spente, senza provare a dirigere la loro realtà, ma semplicemente ascoltandone bisogni e necessità. La macchina da presa non è mai stata un elemento prepotente, avendo così la capacità di familiarizzare con gli sguardi, i silenzi e la quotidianità dei protagonisti. Per raccontare il luogo Ciriello passa attraverso le realtà umane che lo popolano. Questo corto si inserisce infatti nella “trilogia dell’adolescenza”, curata dal regista all’interno di tre contesti differenti: Chioggia, Aosta e Napoli. Le tre esperienze pongono al centro dello studio sempre un mezzo di trasporto, barchino, Apecar e motorino, che diviene anche strumento per relazionarsi agli altri ed esistere in quel quadro. Durante un breve confronto telefonico, Ciriello risponde ad alcune domande.
Come sei venuto a conoscenza della realtà che hai documentato?
La mia ricerca parte in primis da Napoli, dall’osservazione sugli adolescenti tra i tredici e i sedici anni, e dalla necessità di raccontare la loro realtà. Personalmente mi occupo da diversi anni di progetti all’interno dei contesti scolastici che mi hanno permesso di individuare questa capacità dei motorini di farsi collante nel contesto partenopeo. Di essere un argomento di discussione, ma anche un punto di incontro fisico tra i ragazzi. Questa trilogia nasce dalla voglia di raccontare il mondo degli adolescenti da un punto di vista osservativo e costruttivo, con l’intenzione di riflettere sulla vitalità, l’energia e le potenzialità che hanno i giovani, cercando di non esprimere giudizi e critiche, rispettando il punto di vista dei ragazzi e partecipando, attraverso il mezzo cinematografico, a un momento così importante della loro vita.
Il primo capitolo, girato a Chioggia, era stato selezionato al Festival Frontdoc, che si tiene in Valle D’Aosta. Qui ero stato colpito da una serie di Apecar che vedevo scorrazzare per le strade, con tanto di musica al massimo volume e luci led. Da lì lo step successivo è stato approfondire con gli abitanti del posto questo fenomeno, senza ricercare attori o fare provini, ma studiando la forza narrativa fotografica del luogo. Prima di immergermi tra i ragazzi del posto ho usato tanto social come Instagram e Tik Tok per comprendere le dinamiche di questi gruppi, vedevo spesso storie di api che impennavano, per esempio. Poi con l’obiettivo di raccontare questa capacità di unirsi attorno al mezzo di trasporto ho trovato il gruppo di protagonisti con cui ho lavorato.
Il formato del corto quali vantaggi e svantaggi ti ha dato?
La dimensione corto permette di raccontare uno spaccato della vita del gruppo selezionato, in questo caso un’estate, focalizzandosi su un tempo limitato di studio sul territorio. Per chi fa un lavoro immersivo e più antropologico è essenziale conoscere le persone, immergersi nella cultura, imparare le lingue del posto, eccetera. Il lungometraggio in questo tipo di lavori permette di approfondire maggiormente l’aspetto locale con approccio documentaristico.
Qual è il ruolo dei festival con focus sul cortometraggio in questo momento storico in Italia?
In Italia il mezzo filmico cortometraggio non ha una diffusione enorme, principalmente per la carenza di finanziamenti per la produzione. Esistono una serie di fattori discriminanti sotto questo punto di vista, per esempio i corti di finzione vengono preferiti a quelli documentaristici nell’assegnazione di fondi. Esiste però una rete attiva in Italia, almeno secondo la mia esperienza, rispetto alla distribuzione. In particolare, i festival sono fondamentali per la diffusione e per il riconoscimento del lavoro svolto su questo linguaggio filmico. La chiave a mio parere è investire sulla selezione dei lavori, della giuria e sulla partecipazione del pubblico, tralasciando invece la notorietà di chi presenta il progetto o degli attori presenti.
Se il 35mm Film Festival ha rappresentato l’esordio milanese di un festival tutto dedicato al cortometraggio che ha promosso uno scambio diretto e intimo tra autori e pubblico, l’Italia è costellata di una serie di iniziative già attive da diverse edizioni e diffuse durante tutto il corso dell’anno. Il prossimo su base temporale, in una selezione fatta tra la quantità di iniziative presenti e nascenti, è il Corto Dorico Film Fest che si terrà ad Ancona tra il 30 novembre e l’8 dicembre 2024. Alla sua ventunesima edizione, il festival si focalizza sul cinema indipendente e d’impegno sociale, divenendo il principale rivelatore di nuovi talenti per il Premio Nastro d’Argento.
Nel marzo del 2025 l’appuntamento è quello del Cortinametraggio, il primo Festival di Corti nato in Italia negli anni Novanta che ha ospitato professionisti del cinema al tempo agli esordi, e che ora vedono riconosciuti premi come David di Donatello e Nastri d’Argento. Tra gli altri, Paolo Genovese, Giuseppe Marco Albano e Alessandro Capitani. Con un obiettivo del tutto differente nasce il Pigneto Film Festival che, solitamente nel mese di giugno, riunisce una serie di professionisti creando delle squadre di lavoro miste per immaginare e realizzare in centoquarantaquattro ore diversi prodotti audiovisivi nella forma del cortometraggio. Il Calabria Movie Film Festival, in agosto, si propone invece come Festival Internazionale del Cortometraggio con la necessità di mantenere un contatto regionale. In questo contesto i professionisti locali della settima arte incontrano l’interesse per i prodotti internazionali, promuovendo un dialogo attivo sull’evoluzione della stessa.