Tradurre in italiano il voto degli Stati Uniti è un giochetto puerile in cui da ore si dilettano giornalisti e politici di vario livello, è un prezzo da pagare al teatrino mediatico. Così circolano sciocchezze di vario tipo – “ha vinto Salvini”, “ha vinto Conte” – oppure le consuete lezioni che fanno dire a estremisti di sinistra con populisti al seguito che di fronte a questa destra straripante occorre una sinistra più radicale, oltre che, of course, pacifista: quando dovrebbe almeno serpeggiare il dubbio che l’ondata woke, della cancel culture, di Greta, di quella che invoca il pentimento dell’uomo in quanto uomo, del bianco in quanto bianco, quella degli asterischi, abbia un po’ stufato e che sarebbe ora di sporcarsi le mani con i temi che più interessano il popolo vero.
Siamo invasi dalle banalità del giorno dopo, spesso condite dal solito “io l’avevo detto” del fico di turno che tutto aveva capito, ma lasciamo andare, non daremo conto dello trite dichiarazioni di quei leaderini italiani che cercano, ognuno, di tirare acqua al proprio mulino strizzando l’occhio furbetto al vecchio-nuovo imperatore d’America.
Andando alla sostanza, pare indubbio che la botta per il pensiero democratico (cioè non populista e estremista) venuta dalla notte americana sia stata violentissima, come forse mai prima d’ora, perché stavolta non ci si può aggrappare a qualche imbrogliuccio nell’Ohio, no, stavolta è una valanga popolare che ha sepolto i Democratici americani e densa di moniti per i democratici di tutto il mondo.
Non che sia stata proprio una sorpresona, perché è da tempo che la politica reazionaria sta allignando in vari punti del pianeta, Europa e Italia comprese, ed è inutile negare che la reazione sia in questa fase egemone nel senso pieno del termine: non vince le elezioni per un accidente della Storia ma perché ha le chiavi, elementari e false quanto si vuole, ma pur sempre in grado di aprire la serratura dei problemi mondiali, dalla guerra all’immigrazione fino all’economia, mentre il pensiero democratico e le sue organizzazioni politiche non reggono questo passo. Quelle della destra sono semplificate e sovente truccate ma i democratici e quella sinistra progressista immune dalle venature brune e populiste non sembrano capaci di contrapporre ricette alternative altrettanto persuasive.
Esistono forse progetti organici dei democratici europei, e anche italiani, sull’immigrazione, sulla sicurezza, sul welfare, sul nuovo lavoro? Se ci sono, si presentano sempre troppo complicate, piene di controindicazioni: a livello di massa, non funzionano. Tantomeno ci sono dei grandi leader in grado di portarle avanti. Dove sono gli Olaf Palme, i Willy Brandt, i François Mitterrand? I democratici oggi esprimono «pensieri decaduti a desiderio perché sradicati da quello che fu un tempo il suo antico corpo sociale», ci dice Arturo Parisi, che è poi il problema della famosa distanza dei progressisti dal popolo, come nota Marco Bentivogli: «La sinistra è diventata un’élite di persone troppo benestanti per capire la realtà, questa è una sconfitta profonda e dolorosa: bisogna rendersi conto che ispanici e operai, fregandosene delle indicazioni sindacali, votano per Trump che sentono più vicino a loro».
Ieri i dirigenti del Partito democratico, chiaramente sotto botta, non sapevano bene cosa dire, limitandosi non senza ragione a invocare un ruolo più forte dell’Europa dinanzi alla prevedibile politica di Donald Trump tesa a isolarla e strangolarla economicamente.
Ma chi reggerà l’urto del vecchio-nuovo presidente? Forse Ursula von der Leyen, che oscilla tra destra e progressisti come uno sciatore tra i pali piantati nella neve? Olaf Sholz, Emmanuel Macron e Pedro Sánchez, tutti ammaccati? Da noi la sfida tra Elly Schlein e Giorgia Meloni resta sempre aperta ed è improprio e ingiusto il parallelo tra la leader del Partito democratico con Kamala Harris e la premier con Donald Trump. Però come si può negare che Meloni abbia segnato un punto a suo favore. Poi certo la gara è lunga e non già decisa. Sempre che i progressisti italiani si sveglino e comincino a guardare in faccia la realtà così com’è e non come si vorrebbe che fosse. E che siano capaci di approntare nuove idee a partire dal mondo di oggi che non è quello di quando si andava al liceo. Provando a diventare finalmente adulti.