La Romania si è ritrovata con un ballottaggio presidenziale inatteso: l’8 dicembre Elena Lasconi (19,18 per cento), sindaca di Câmpulung e presidente dei liberalsocialisti di Usr (Unione Salvate la Romania), affronterà l’indipendente di estrema destra Călin Georgescu (22,94 per cento). Lasconi, passata nei conteggi più volte dal secondo al terzo posto, ha staccato infine il premier Marcel Ciolacu, fermatosi al 19,15 per cento, di quasi tremila voti. Quanto basta a spingere il socialdemocratico alle dimissioni dalla presidenza del partito a meno di ventiquattro ore dal voto. Il liberalconservatore Nicolae Ciucă (8,8 per cento), arrivato quinto dietro il leader di Aur George Simion (13,86 per cento) ha fatto altrettanto, dimettendosi dalla dirigenza del Pnl.
Lasconi e Georgescu, separati da visioni politiche e sociali opposte, hanno un tratto in comune: esprimono entrambi un marcato voto anti-sistema. C’è del marcio in Romania e non tutti se ne erano accorti, presi dalle crisi internazionali e dalle beghe imbarazzanti attorno alla nuova Commissione. C’è del marcio nella classe politica tradizionale, che da questa tornata esce sconfitta e ridimensionata. C’è del marcio nella propaganda russo-putiniana, che da una decina d’anni serpeggia nel paese, dando cittadinanza non solo a personaggi ridicoli come Diana Șoșoacă, ma anche a formazioni politiche ed esponenti di una destra nostalgica, pericolosa e anti-europea.
Călin Georgescu, ingegnere agronomo, ex funzionario al ministero degli esteri e dell’ambiente, una carriera internazionale all’Onu, ne è un esempio. E non ci si stupisce quando si apprende che ammira Putin ed è amico di Robert Kennedy, nuovo ministro della salute di Trump, e che rivendica per la Romania una posizione neutra rispetto ai conflitti in corso. Il più votato (a oggi) dai romeni è l’ex co-presidente di Aur, partito da cui era stato proposto alla carica di primo ministro, ma dal quale è uscito, colpevole di aver elogiato dittatori e responsabili di genocidi.
«Il mio partito è il popolo romeno, e per la prima volta in trentaquattro anni vincerà», dichiarava Georgescu nei giorni di campagna al giornalista televisivo Mihai Tatulici, illustrando il suo programma. L’ex Aur è contro le energie rinnovabili e rivendica con orgoglio per la Romania il record di paese meno vaccinato in tempi di Covid. Definisce l’Onu, da cui egli stesso proviene, e le altre organizzazioni internazionali, una “Matrix” dalla quale bisogna uscire. Le sue idee sono compendiate nel libro “Cibo, acqua, energia”, i tre elementi necessari alla Romania per riappropriarsi del proprio destino, apparso già nel 2016. Sì, perché Georgescu ha già un suo seguito da diversi anni, anche se appare poco nei media tradizionali.
Per Georgescu, i romeni, votandolo, avrebbero fatto sentire il loro «grido di sofferenza» e la loro «voglia di pace». «Con me il popolo romeno si rende conto che può recuperare i suoi diritti e la sua famiglia, dobbiamo far tornare i romeni all’estero».
Se l’elettorato di Lasconi è soprattutto quello istruito delle grandi città come Bucarest, Cluj e Iași, e di parte della diaspora, quello di Georgescu risulta ancora poco identificabile. Si ipotizza che sia piuttoso trasversale, composto in generale da persone che si informano solo sui social. Non a caso Georgescu viene definito «il candidato TikTok», piattaforma ormai non più territorio esclusivo dei giovanissimi. Ma è anche a questi ultimi che punta la sua subdola campagna, contando sul passaparola con famigliari e conoscenti, grazie ai jingle da videogioco, colonna sonora dei suoi video, e agli slogan ripetuti fino all’ossessione.
Immaginando di diventare presidente, Georgescu dice in un video «Da oggi la Romania è governata di nuovo da Dio». L’ex favorito alla presidenza Ciolacu invece rivendica di essere «un uomo comune di una città di provincia» e invita i romeni a scegliere «la strada sicura per la Romania». Alcuni video lo ritraggono mentre impasta insieme ai fornai, o mentre pianta alberi e dichiara di essere #unpresidentepertutti. Una comunicazione fin troppo debole e rassicurante.
Deludono le dimissioni dei leader di Psd e Pnl, che si sottraggono alla decisione di sostenere o meno la candidata filoeuropea Elena Lasconi al secondo turno. Eppure l’esponente dell’Usr, partito Alde convintamente europeista, è ormai l’unica alternativa per far sì che la Romania continui il percorso di integrazione nell’Ue e nella Nato. Lasconi, che viene dal mondo del giornalismo cui ha dedicato vent’anni, è entrata in politica solo nel 2018. Ma la sua campagna elettorale poggia su un’esperienza quadriennale come sindaco di Câmpulung, comune di trentaseimila abitanti a cento km da Bucarest.
Rieletta alle amministrative di giugno con il settanta per cento, Lasconi è stata poi eletta presidente del partito. Essere al ballottaggio la compensa della mancata capolistura alle europee, che si giocò quando dichiarò di aver votato sì al referendum costituzionale sul divieto del matrimonio gay del 2018. Facilitata forse dalla prima posizione sulla scheda elettorale, la liberaldemocratica è stata votata anche da chi la percepisce come uno dei «mali minori», rispetto ai partiti tradizionali.
Secondo il politologo Gheorghe Fîrte, citato da Europa Libera, Psd e Pnl, che governano insieme da tre anni, «hanno dato a vedere di volersi spartire i benefici del potere più che promuovere le riforme tanto attese dall’opinione pubblica». Ciolacu sui social sembrava impegnato a promuovere la sua attività di primo ministro più che a proporsi come presidente.
La comunicazione di Lasconi è apparsa invece vincente, presentandola come candidata pragmatica (Per una Romania funzionale) e fautrice di politiche per i giovani e la famiglia (cinquecento lei in più per ogni figlio, niente tasse per i giovani fino a ventinove anni), l’energia nucleare, le imprese (meno tasse per microimprese e autonomi) e di una riorganizzazione territoriale e amministrativa (otto regioni invece di quarantuno distretti, Parlamento unicamerale). Propone di introdurre l’educazione sessuale nelle scuole e che gli ospedali pubblici si dotino di ginecologi per l’interruzione di gravidanza, pur ammettendo gli obiettori di coscienza.
A favore delle unioni civili, ha una posizione poco chiara sulle adozioni di coppie Lgbt+. «Conta l’interesse del bambino», avrebbe dichiarato. Europeismo e atlantismo in politica estera, in patria politiche progressiste ma non troppo, rendono Lasconi una candidata appetibile per una fetta importante di elettorato. Importante uno degli ultimi messaggi elettorali, in cui esorta a non rendere vano il sacrificio del dicembre 1989, quando millecentosedici romeni morirono per la libertà. Un punto di riferimento importante per un paese che si vuole liberale.
Radu Vancu, scrittore e docente universitario, è tra i pochi intellettuali a interessarsi di politica. In una dichiarazione all’austriaco Der Standard dice «Le nostre istituzioni sono state penetrate dalla guerra ibrida più facilmente rispetto a quelle della Moldova. Dobbiamo restare legati al nostro destino europeo e colmare questa breccia nella nostra sicurezza».
Certo è che, se entro fine anno la Romania intende aderire a pieno titolo allo spazio Schengen, aggiungendo un tassello al percorso di integrazione europea, dovrà fare una scelta elettorale in linea con le aspettative di Bruxelles. L’eterno veto dell’Austria a Romania e Bulgaria, caduto qualche giorno fa in una riunione informale a Budapest, ha portato a un accordo tra ministri degli interni che verrà formalizzato al Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre. Speriamo che in quel momento a rappresentare Bucarest ci sia un presidente consapevole del ruolo che il paese può svolgere nell’Ue e nella Nato.