Questi sono i giorni in cui il mondo si prepara all’inizio dell’Amministrazione Trump, che si insedierà ufficialmente tra poco meno di due mesi. Uno dei tratti più visibili della squadra di governo che il presidente in pectore sta assemblando è la lealtà al presidente come principale criterio di selezione. Le nomine di Pete Hegseth a segretario alla Difesa, di Tulsi Gabbard a direttrice dell’Intelligence nazionale (e di Matt Gaetz a ministro della Giustizia, che però ieri si è ritirato) sono state interpretate come il tentativo di imbrigliare le agenzie governative che più avevano ostacolato l’operato della prima Amministrazione Trump (2016-2020).
La nomina di persone fidate e fedeli in posti chiave viene vista come il preludio a una stagione di rappresaglia contro le persone e i soggetti che, correttamente o meno, vengono percepiti dalla galassia Maga come ostili a Trump e al suo progetto illiberale. Nelle prime posizioni della lista ci si aspetta che ci siano anche i giornali indipendenti, sovente definiti fake media da Trump e dai suoi sostenitori. Come potrebbe Trump punire i media che l’hanno criticato e indagato fin dalla sua discesa in campo?
In un lungo intervento uscito sulla Columbia Journalism Review due settimane prima delle elezioni americane, l’analista Kyle Paoletta ha fatto notare come Trump disponga di uno strumento potenzialmente molto efficace per silenziare i media che ritiene avversari: l’Espionage Act.
Come spiegato sul sito dell’intelligence americana, l’Espionage Act fu approvato dal Congresso americano nel 1917, poco dopo l’entrata degli Stati Uniti nella Prima guerra mondiale. Il suo obiettivo primario era contrastare le attività di raccolta di informazioni ritenute pericolose per il successo dell’intervento bellico americano nel teatro europeo, come l’acquisizione di informazioni sensibili e la loro trasmissione ai rivali dell’America, o la diffusione di «notizie false intenzionate a interferire con le operazioni belliche americane o a celebrare le vittorie dei nemici dell’America». In tempo di pace, la pena prevista era di diecimila dollari di multa e vent’anni di prigione. In tempo di guerra, trent’anni e, nei casi più gravi, pena capitale.
Paoletta ha parlato con vari editori di quotidiani americani, esperti legali e avvocati, che hanno confermato come questa norma, usata in passato sia da presidenti Democratici che Repubblicani, offra a Trump una via potenzialmente molto semplice per limitare il dissenso.
Se l’Espionage Act era inizialmente usato per punire i funzionari infedeli, che avevano rivelato informazioni che era proibito divulgare, durante l’amministrazione Bush anche alcuni giornalisti furono puniti per essersi rifiutati di rivelare i nomi delle loro fonti. I casi più celebri riguardarono Judith Miller, giornalista del New York Times che non volle svelare la fonte dentro l’Amministrazione che le aveva fatto il nome dell’agente Cia Valerie Wilson Plame al centro del Nigergate, e James Risen, giornalista di The Intercept esperto di sicurezza.
Secondo persone sentite da Paoletta, il principale motivo per cui l’Espionage Act potrebbe essere utilizzato dalla nuova Amministrazione Trump per attaccare giornali e media critici è la sua formulazione estremamente vaga e l’ambiguità dei concetti chiave che strutturano il testo. Più nello specifico, l’Espionage Act proibisce «la diffusione e la conservazione non autorizzata di qualunque informazione relativa alla difesa nazionale». Ma non definisce in modo univoco il concetto di «informazione relativa alla difesa nazionale», né quello di «danno alla sicurezza nazionale».
Se, come per esempio sostenuto nel famigerato Project 2025, la stampa indipendente dovesse essere bollata apertamente come un nemico, la nuova amministrazione americana potrebbe spingere le corti a interpretare qualunque comunicazione del presidente come «informazione relativa alla difesa nazionale».
Questa interpretazione spianerebbe la strada alla persecuzione politica dei cronisti che seguono il lavoro della Casa Bianca, che si troverebbero a maneggiare “informazioni relativa alla difesa nazionale” ogni giorno, con il rischio di venir sanzionati in caso di divulgazione o utilizzo ritenuto inopportuno. Le tradizionali tutele giuridiche del Quarto potere negli Stati Uniti verrebbero così erose, limitando ulteriormente l’efficacia già ridotta dei più autorevoli media americani.