Non è un tubero e nemmeno un parassita: il tartufo (dal latino terrae tufer e dall’evoluzione in volgare territùfru, cioè escrescenza della terra) è a tutti gli effetti un fungo ipogeo eterotrofo, che cresce sottoterra e trae nutrimento dalle radici di una pianta arborea o arbustiva (pino, quercia, nocciolo, salice, leccio, roverella, rovere, carpino, cerro, farnia, tiglio, pioppo, cedro) con cui vive in un rapporto di simbiosi benefico per entrambi.
Come ingrediente di cucina, il tartufo è noto fin dall’epoca dei Babilonesi (3000 a.C.) e dei Sumeri e già gli Egizi (intorno al 2600 a.C.) e i Romani lo consideravano un alimento raro e costoso, secondo la leggenda originato dall’incontro tra la pioggia, il tuono e il fulmine di Giove (che, essendo il dio della virilità e dell’erotismo, avrebbe trasferito a questo prodotto straordinarie proprietà afrodisiache).
Coltivare la selvaticità, con l’aiuto della scienza
La vera identità dei tartufi è stata svelata dalle ricerche scientifiche compiute nella prima metà dell’Ottocento, che hanno portato a comprendere come ogni varietà di questo fungo necessiti di particolari condizioni climatiche e ambientali (incluse composizione del terreno, altitudine, pendenza e umidità, nonché la vicinanza di determinate specie vegetali) per svilupparsi.
A queste scoperte sono seguiti i primi esperimenti di tartuficoltura, oggi praticata in Italia, Francia e Spagna, grazie alla creazione di habitat adatti alla loro coltivazione intensiva (le cosiddette tartufaie). Si tratta di terreni con determinate caratteristiche chimico-fisiche e popolati da essenze arboree e arbustive tartufigene autoctone o impiantate, le cui radici vengono preventivamente micorizzate, cioè inoculate con spore della varietà di tartufo prescelta, per favorirne la crescita. Un metodo che funziona con molte tipologie di tartufo.
Un prodotto sostenibile e stagionale ante litteram
Teoricamente disponibile in qualsiasi periodo dell’anno, il tartufo è soggetto a una stagionalità imposta dal calendario di raccolta, che varia in base alla specie: il tartufo bianchetto si raccoglie dal 10 gennaio al 30 aprile; il tartufo estivo o scorzone dal 1° maggio al 30 settembre; il tartufo bianco pregiato dal 10 settembre al 31 dicembre; il tartufo uncinato dal 1° ottobre al 31 gennaio; il tartufo nero pregiato dal 15 novembre al 15 marzo. Ma non solo: esistono anche limitazioni orarie per la raccolta di questo frutto del sottobosco, che generalmente vanno da un’ora prima dell’alba a un’ora dopo il tramonto, con leggere variazioni da una regione all’altra.
L’obiettivo di queste limitazioni è quello di lasciare a riposo il sottobosco e far sì che il terreno si rigeneri e resti produttivo, grazie all’attività di insetti e mammiferi che, cibandosi dei tartufi, provvedono alla propagazione delle spore che, a differenza di quanto accade per i funghi epigei (che crescono al di sopra del terreno), non possono contare sulle correnti d’aria per riprodursi.
Uomini e cani
Che si svolga in un habitat selvatico piuttosto che in tartufaia, la caccia tartufo rappresenta fin dai tempi antichi un momento unico di condivisione e complicità tra il tartufaio e il suo cane. Il primo svolge un mestiere tradizionalmente connesso alla necessità di ottenere un ricavo economico dalla vendita di un prodotto “di lusso”; il secondo (generalmente un Lagotto Romagnolo o un esemplare di altra razza predisposta e allevata per questo scopo) vive con il suo padrone un’occasione di gioco immerso nella natura, durante la quale fa di tutto per dimostrare la propria fedeltà e affidabilità. Entrambi, con il freddo, il buio, la pioggia mettono in comune le rispettive forze e abilità per portare avanti il proprio compito, in un cui sono gli unici protagonisti e i soli artefici del risultato della loro “caccia”.
… ma il tartufo è donna!
Ma a contribuire al prestigio e alla diffusione del culto del tartufo nel mondo sono state anche le donne. A partire da alcuni esempi celebri come Lucrezia Borgia e Caterina de’ Medici, che apprezzavano questo alimento e dopo il Medioevo lo riportarono in auge sulle tavole rinascimentali, contribuendo a rendere una prelibatezza (nonché un presunto afrodisiaco) quello che prima veniva guardato con sospetto e considerato un cibo velenoso o diabolico.
Oggi il tartufo è al centro di diversi esempi di imprenditorialità al femminile, tra cui spicca l’esempio di Stefania Calugi (a Castelfiorentino, in provincia di Firenze). Erede di un’attività familiare iniziata alla fine del Novecento in via Tilli, nel centro storico, dove un tempo avevano sede rispettivamente il negozio di barbiere in cui lavorava il padre Renato, appassionato discendente di tartufai dal 1908, e la latteria della madre, dove alcuni tartufai dell’epoca si recavano per pesare il proprio bottino prima di venderlo. Da questo contatto costante con i pregiati frutti del sottobosco, e dalla loro crescente diffusione sulle tavole italiane e straniere nella seconda metà degli anni Novanta, nasce l’idea di Renato Calugi di fondare nel 1987, insieme alla figlia appena diciottenne, un primo laboratorio artigianale di soli 67 metri quadrati per la lavorazione di questo prodotto.
Grazie alla caparbietà, alla passione e alla dedizione della titolare (affiancata dal compagno Jurij Marchetti, tartufaio esperto, e dalla nipote trentenne Carolina, romana di origine ma trasferitasi nella terra della zia per occuparsi del marketing), quel nucleo embrionale oggi si è trasformato in un’azienda di oltre 1.500 metri quadrati (con trenta ettari di tartufaie certificate bio e venticinque dipendenti, di cui sedici donne) riconosciuta a livello internazionale come un’eccellenza nella ricerca e trasformazione dei tartufi di alta qualità, che vengono esportati freschi o trasformati in oltre quaranta Paesi del mondo, per un valore di fatturato di circa sette milioni di euro all’anno.
Se nei periodi in cui la caccia è consentita i tartufi vengono raccolti e spediti freschi in tutto il mondo entro ventiquattro/quarantotto ore, a garantire la possibilità di gustare il prezioso fungo nell’arco di tutto l’anno ci pensano i prodotti trasformati a filiera corta, confezionati e via via resi protagonisti di abbinamenti e ricette sempre più innovativi e ricercati, in grado di soddisfare i gusti di un pubblico ampio. Oggi il catalogo dell’azienda conta 150 ricette, tutte frutto dell’impegno e dell’estro della titolare, che nella propria cucina inventa sempre qualcosa di nuovo, partendo dal rispetto per il gusto autentico della materia prima protagonista, ma senza temere di osare con accostamenti insoliti tra il tartufo e altri ingredienti.
Nascono così linee dedicate sia al consumatore finale sia alla ristorazione (tutte certificate a livello internazionale come Brc, Ifs, Halal, e interamente made in Italy), con prodotti che vanno dalle crema agli oli e burri aromatizzati, dalle polvere alle conserve sott’olio, fino ai sali, ai preparati per risotti, alle paste e ai pesti e sughi, ma anche alla frutta secca o disidratata al tartufo, come la granella di nocciole e le albicocche essiccate con tartufo estivo (ideali anche in pasticceria) o perfino le arachidi, le patatine e le chips di banana al tartufo, da servire per l’aperitivo.
Molto più che “prêt-à-manger”
Quelli di Stefania Calugi sono molto più che pregiati alimenti confezionati e pronti all’uso: ciascuno di essi ha una sua storia, racchiude ricordi, ispirazioni, riflessioni e studi che spaziano dalla filosofia alla numerologia e si riflettono anche nella rappresentazione grafica di alcuni prodotti.
Ne sono esempio la linea “Desiderio, Incontri e Unione” (costituita da petali di tartufo disidratato e salato, rispettivamente in purezza, aromatizzato al lampone e alla bottarga) o quella “Mille e un tartufo” (polveri colorate dal gusto esotico, ciascuna delle quali è individuata da un nome dal significato profondo e da un numero specifico scelto da Stefania basandosi sulle sue ricerche in numerologia).
Non mancano poi conserve di verdure che rimandano a ricette familiari, come quella dei carciofi sott’olio, ricordo della nonna, o la salsa di tartufo bianco che prende il nome da Bianca di Castiglia, regina di Francia, una donna forte e determinata, profondamente legata alle sue origini e alla famiglia, proprio come Stefania.
“Essenziale” è l’ultima creazione della casa: un prodotto ottenuto dall’ultima raccolta di tartufo nero pregiato del 2024 (3,5 kg in totale), che dopo essere stato essiccato a bassa temperatura viene mixato con olio extravergine d’oliva e aromi naturali di tartufo prodotti a Montopoli (vicino a Pisa), imbottigliato in soli cinquecento recipienti ottenuti da antichi maestri profumai e confezionato in luxury box contenenti un opuscolo con la storia del tartufo, del tartufaio che l’ha raccolto e del cane che l’ha aiutato nella caccia.
Non solo azienda: un luogo in cui vivere esperienze sensoriali uniche e immersive
Nonostante il suo ingente impegno produttivo (che va dalla caccia del tartufo alla sua lavorazione ed esportazione), quella di Stefania Calugi non è una semplice “fabbrica” di tartufi e prodotti derivati, ma piuttosto un luogo in cui vivere esperienze immersive e multisensoriali attorno al tartufo. L’azienda viene spesso aperta al pubblico esterno, che qui ha la possibilità di prendere parte a diverse attività: dalla propedeutica esperienza immersiva inside “La strada del tartufo”, che dal 2017 consente ai visitatori di scoprire la storia, i segreti e le peculiarità di questa pregiatissima materia prima e di conoscere il meraviglioso mondo del tartufo a 360°, ai Truffle picnic nel bosco, dai Truffle lunch in showroom agli Aperitartufo (da novembre, ogni venerdì dalle 17:00 alle 19:30) che permettono degustare direttamente in loco in una situazione informale e conviviale i prodotti più iconici del brand.
Per i più avventurosi c’è anche l’Hunting Experience, ovvero l’autentica caccia al tartufo, pensata per consentire ai partecipanti di vivere l’unicità e la magia di un’esperienza che prende forma ogni giorno nei boschi delle colline Toscane, condotti da una guida specializzata, da un tartufaio esperto e un cane addestrato alla cerca del tartufo. Il tutto a dimostrazione di come l’obiettivo di Stefania Calugi non sia quello di porsi come mero tramite di vendita del tartufo italiano della qualità migliore, ma soprattutto di farsi tramite della tradizione che ruota attorno a questo fungo, nonché portavoce di un’esperienza che unisce educazione e gusto, percorsi sensoriali e cognitivi, permettendo a tutti, appassionati e neofiti, di immergersi completamente nel mondo di questo prezioso ingrediente e di appassionarsi ad esso grazie all’ingente mole di curiosità e aneddoti che lo riguardano.