Violenta virata ancora più a destra del governo di Bibi Netanyahu che con un preavviso di soli dieci minuti ha licenziato il popolarissimo ministro della Difesa, l’ex generale Yoav Gallant, a cui si devono essenzialmente i grandi successi in guerra. Lo ha sostituito con un proprio tirapiedi, il ministro degli Esteri Israel Katz, che nulla sa di strategia militare, ma è di estrema destra.
Questo, nel pieno di una guerra a episodi con l’Iran, mentre si attende una salva di missili dei Pasdaran su Tel Aviv e sono in corso due guerre, una in Libano e una a Gaza che hanno già visto cadere più di ottocento soldati israeliani. Un complotto di palazzo di Netanyahu, tanto grave che la Corte Suprema di Israele ha subito ingiunto al premier di «rispondere formalmente entro ventiquattro ore sulle ragioni delle dimissioni del ministro della Difesa» nel momento in cui Israele è coinvolto in una guerra e quindi questo atto può mettere in pericolo la sicurezza nazionale. Una disfida mai accaduta che dà il segno di come questo atto di forza apra una drammatica crisi istituzionale nel paese.
Salutato ovviamente con entusiasmo da Itamar ben Gvir, ministro fascista della Sicurezza Nazionale, questo colpo di mano che priva il governo dell’unico ministro che ha dato prova di essere un vero democratico e un moderato in guerra, ha molte motivazioni. Tutte pessime, tanto che l’ormai ex ministro della Difesa ha commentato: «Un’oscurità mortale ha travolto il paese».
Innanzitutto Gallant, l’unico ministro che ha dimostrato di seguire i principi etici del sionismo anche in guerra, è più popolare, lo attestano i sondaggi, dello stesso Netanyahu. Negli ultimi mesi è entrato in rotta di collisione con lo stesso premier e con i suoi alleati di governo fascisti sulla gestione della guerra a Gaza e sulla gestione delle trattative per liberare gli ostaggi in mano di Hamas da tredici mesi.
Quanto a Gaza, il giudizio di Gallant è che la guerra sia sostanzialmente finita, mentre Netanyahu e i ministri fascisti la vogliono continuare a oltranza. Ma soprattutto ritiene che debba avere uno sbocco politico che non sia l’occupazione permanente della Striscia, voluta sempre dai ministri estremisti: «Chiedo al Primo ministro di prendere una decisione e di dichiarare che Israele non stabilirà un controllo civile e non stabilirà un controllo militare sulla Striscia di Gaza». Nessuna risposta.
Ma Gallant è stato soprattutto durissimo sulla trattativa per gli ostaggi che Netanyahu e i fascisti hanno boicottato. Durissime, infatti, sono state le sue accuse al premier subito dopo il licenziamento: «Non ci sarà nessuna espiazione per l’abbandono degli ostaggi». Un’accusa drammatica e diretta a Netanyahu di averli cinicamente abbandonati, come è stato.
Ma non è solo questo. Netanyahu e lo stesso Gallant si sono scontrati anche su un punto debole della coalizione di governo: il rapporto con i partiti religiosi. Gallant ritiene infatti che sia profondamente immorale e ingiusto che gli haredim, gli ebrei ultraortodossi, siano esonerati dal servizio militare nel momento in cui decine di migliaia di cittadini israeliani combattono in divisa, e a centinaia muoiono in combattimento. In questo, è forte anche di una serie di sentenze della Corte Suprema.
Per questo, ne ha richiamato alle armi alcune migliaia e si è opposto pochi giorni fa a una legge presentata dal governo alla Knesset che ne garantiva l’esonero. Ma Netanyahu, arroccato al potere con cinismo, non vuole aprire una crisi dell’esecutivo causata dai partiti religiosi che pretendono di preservare i privilegi degli haredim, gli ebrei ultraortodossi. Quindi si è liberato di un incomodo.
Infine, ma non per ultimo, Netanyahu non tollera il fortissimo rapporto di fiducia diretto che Gallant, grazie al suo equilibrio, ha costruito non solo con il suo corrispettivo americano Lloyd Austin, ma anche personalmente con Joe Biden. Più volte, Lloyd Austin e lo stesso presidente americano hanno convocato Gallant a Washington per trattare direttamente con lui la prosecuzione della guerra, scavalcando Netanyahu.
Tutto questo, peraltro, avviene nel momento in cui lo Shin Bet, il servizio segreto interno, e la polizia israeliana indagano sui più stretti collaboratori dello stesso Netanyahu, alcuni addirittura arrestati perché accusati di avere comunicato illegalmente alla stampa documenti riservati sulla trattativa per gli ostaggi con lo scopo di farla fallire, come è avvenuto. Nel corso di questa indagine, martedì scorso, la polizia ha addirittura perquisito abitazione e uffici dello stesso Netanyahu. È questo uno scandalo che può avere esiti clamorosi e disastrosi per il premier.
Inutilmente, migliaia di manifestanti sono scesi in piazza e hanno assediato la stessa casa del premier per protestare contro questo licenziamento che lacera ancora una volta Israele. Netanyahu non si ferma, è pronto a fare patti con diavolo pur di restare al governo. E ancora una volta spacca in due il paese, incurante cinicamente delle conseguenze.