Azione ha presentato il 24 ottobre una proposta di legge di iniziativa popolare finalizzata a reintrodurre l’energia nucleare in Italia. In quattro giorni la proposta ha superato le cinquantamila firme necessarie per essere presentata ufficialmente; si vuole con questa iniziativa spingere il governo a presentare un «riassetto normativo» sulla disciplina dell’«autorizzazione, realizzazione, esercizio e remunerazione di centrali di produzione di energia elettronucleare», costruite in Italia, e sulla «definizione delle misure di beneficio locale in favore delle popolazioni interessate»; la finalità è quella di contribuire alla promozione fonti di energia «a bassa emissione di gas climalteranti», ossia i gas che causano il riscaldamento globale.
In teoria, questa proposta non pare necessaria, visto che il ministro Pichetto Fratin ha annunciato a più riprese che avrebbe presentato entro fine anno una proposta di legge volta a reintrodurre in Italia il nucleare tramite «le nuove tecnologie nucleari sostenibili», con l’obiettivo di sottoporla al vaglio parlamentare «nei primi mesi del 2025».
In pratica, c’è una differenza tra la proposta di Azione e quella del governo; la prima dice chiaramente che l’obiettivo è iniziare subito con la costruzione di centrali nucleari di terza generazione, chiamate Epr, del tipo di quella appena finite di costruire in Finlandia con un ritardo di oltre dieci anni e al triplo del costo previsto e che si è già dovuta fermare varie volte mandando il prezzo dell’elettricità in quel paese alle stelle; o quella di Flamandville in Francia, che sta per essere completata, con tredici anni di ritardo e un prezzo passato da 3,3 a venti miliardi di euro; il tema delle scorie non viene toccato dato che i promotori ritengono che questo problema non sia significativo (!). L’idea è di partire con queste centrali per poi farne di nuove quando esisteranno, come se dei reattori nucleari si potessero smontare in quattro e quattr’otto.
La proposta del governo, invece, parla di nuovo “nucleare sostenibile” e di Small Modular Reactors, da mettere in pista entro il 2030 per un risparmio di trentaquattro miliardi a vantaggio di imprese e famiglie. Le proposte dei novelli nuclearisti si basano tutte sull’assioma indimostrato che una economia basata su cento per cento rinnovabili, combinata a una forte spinta alla riduzione dei bisogni energetici e a miglioramenti ormai in arrivo su accumuli e batterie, non sia economicamente sostenibile senza nucleare.
Mi pare una dichiarazione arbitraria e ideologica, che purtroppo sta alla base della costante sottostima del potenziale delle rinnovabili in Italia e che non tiene alcun conto della realtà del mondo: la capacità fotovoltaica installata ha ormai superato di quasi cinque volte quella nucleare (367 GW di nucleare contro 1,6 TW di solare, a fine 2023) e nel 2023 la capacità di energia nucleare si è ridotta di 1GW a livello globale.
Nel 2024 i dati ci dicono che il trend va nella stessa direzione, con un aumento del quasi il trenta per cento di solare e la prosecuzione della discesa del nucleare nel mix elettrico. Ma comunque, pensare a breve termine cioè nei prossimi quindici/venti anni di avere in Italia ma anche nel mondo una istallazione di reattori Epr, o di impianti nucleari modulari e piccoli, o di quarta generazione in grado di rappresentare una quota significativa della domanda di elettricità e di ridurre i prezzi dell’energia è del tutto inverosimile; per ragioni di costi, ma anche tecnologiche. E anche se ci fossero, noi non abbiamo comunque quindici/venti anni per affrontare davvero la crisi climatica, riducendo le emissioni e investendo massicciamente per limitarne gli effetti sempre più terribili. Come diceva una famosa pubblicità di gelati, «life is all about priorities».
Checché ne dica il ministro, non ci sono ancora impianti di nuova generazione puliti e sicuri. Siamo ancora molto indietro e a oggi nessuno dei problemi che hanno guidato la scelta degli italiani nel 1987 e nel 2011 è stato risolto. Non ci sono prospettive realistiche di istallazione su vasta scala dei Smr entro i prossimi decenni; ci sono una cinquantina di progetti lontani dalla commercializzazione e istallazione in scala e che utilizzano per ora tecnologie esistenti e dunque non sanno che fare delle scorie; e come dimostrano i casi di Oukiloto e Flamandeville, costruire nuovi reattori è estremamente costoso e molto problematico anche in paesi che hanno fatto la scelta nucleare decenni fa. Figuriamoci per uno come il nostro dove si fatica a istallare un impianto di biogas o una pala eolica. Considerate quindi il livello di superficialità del governo che nel Piano Nazionale Clima ed energia affida a queste tecnologie inesistenti una quota di 7,8 GW!
Ma ciò che è a dir poco stupefacente è che una tecnologia ferma da almeno una ventina d’anni, inquinante, (dato che nessuna soluzione è stata trovata per le scorie), in declino e costosissima possa essere spacciata come una soluzione realistica per rispondere entro pochi anni all’urgenza assoluta di ridurre in modo drastico le emissioni climalteranti e di investire in modo massiccio in opere che ci permettano di adattare le nostre città, le nostre case, il nostro modo di produrre e mangiare agli effetti devastanti del clima impazzito che già oggi sono chiaramente visibili.
Di fronte a un incendio, nessuno perde tempo a pensare a soluzioni incerte e costose. Ci si dirige al modo più veloce ed efficace per spegnerlo. E oggi le tecnologie che più rapidamente e in modo più conveniente ci possono aiutare sono le rinnovabili e le soluzioni che ci aiutano a ridurre in modo radicale il nostro bisogno di energia, di acqua e di risorse e che migliorano le reti per trasportarla. Tecnologie che esistono e devono sicuramente essere migliorate ma che sono molto più efficaci che buttare miliardi (che non abbiamo) in reattori nucleari.
È sicuramente positivo che si usino strumenti di partecipazione per dibattere di un tema essenziale per il nostro futuro, soprattutto in tempi di risorse scarse e di evidente emergenza climatica, come dimostrano le devastanti e tragiche inondazioni a Valencia di martedì scorso o quelle in Europa Centrale e in Italia; anche perché queste scelte si stanno facendo sulla base di una specie di rullo compressore politico e mediatico, dove tutto appare già deciso e che non ha per ora lasciato alcuno spazio al dibattito di sostanza.
Ma alla fine, anche la proposta di Azione non fa che partecipare a questa stessa narrazione. Ed è su questo rullo compressore politico e mediatico che chi si oppone deve agire riuscendo a mettere insieme rapidamente non solo gli innumerevoli argomenti e numeri che smentiscono la narrativa nuclearista, ma anche la necessaria mobilitazione politica e sociale per opporsi a questa che sta sempre più emergendo come un’arma di distrazione di massa a favore delle imprese fossili e un ostacolo importante a scelte sempre più urgenti: dall’istallazione di rinnovabili in modo adeguato, rapido e partecipato, agli ingenti investimenti necessari per ridurre la domanda di energia nelle case, nei trasporti e nell’industria, a quelli imprescindibili per accompagnare lavoratori e cittadini nella giusta transizione fuori dalla dipendenza dai combustibili fossili e verso un’economia a emissioni zero.