Fa una certa impressione che, davanti al Progetto Reazionario Mondiale di Donald Trump, i socialisti europei giochino con il fuoco sulle nomine europee, e rischino di dare un colpo al fragile equilibrio post-europee. In ogni caso, a cospetto della disfatta epocale dei democratici americani, la vicenda della nomina di Raffaele Fitto a vicepresidente della Commissione europea – davvero una pagina molto politicista – appare ben piccola cosa. Dentro questa storia che avrà pure un suo senso, ma che non interessa certo le masse, la delegazione europea del Partito democratico si sta dimostrando confusa e infelice (e non è la prima volta che a Bruxelles i dem italiani si rivelano pasticcioni, basti pensare ai voti sulle armi all’Ucraina).
Ha scritto sul Mattino parole severe un osservatore che certo non è un nemico del Pd, Paolo Pombeni: «Perché il Pd non riesce a prendere una posizione chiara? Perché Elly Schlein paga il prezzo di aver messo nelle liste europee personalità di scarsa competenza politica e prorompente protagonismo mediatico e contestativo», e per di più «vuole tenere un campo largo in cui convivere con M5s e Avs che a una strategia di realismo operativo non pensano proprio».
In particolare – aggiungiamo noi – il partito di Giuseppe Conte non è certo ideologicamente preoccupato del Progetto di Trump, e anzi è probabile che l’avvocato Giuseppi si stia già sintonizzando sulle onde radio di Mar-a-lago con tanti saluti alla collocazione progressista, ove secondo i suoi amici nel Pd egli vorrebbe fissare il Movimento. Quanto ai Verdi, non pare sfiorarli nemmeno il fallimento di Cop29, la conferenza sul clima alla quale partecipano anche i Talebani che governano l’Afghanistan, un esito negativo in buona parte effetto del disimpegno americano dichiarato da Trump.
Insomma, l’impressione è che sulla nuova fase storica che si è aperta il 5 novembre la sinistra italiana non abbia nulla da dire, e che i suoi problemi siano più legati alla nomina di Fitto o alle elezioni umbre: miserie della politica, si direbbe, che si aggiungono alle scaramucce nell’ambito del giochetto fascisti contro comunisti, con il contributo anche del sindaco di Bologna Matteo Lepore nell’ingigantire il reale peso di uno scontro tra gruppetti organizzati, questi nuovi fascistelli e i violenti dei centri sociali. Ed è ancora più assurdo che dalla sinistra italiana e anche dai liberaldemocratici, o chiamateli come vi pare, non si siano finora sentite analisi serie sul nuovo ordine mondiale evocato da Vladimir Putin dopo il trionfo dell’amico Donald.
L’unica lettura seria e drammatica l’ha fatta uno che non partecipa più alla lotta politica diretta, Walter Veltroni. «Il primo martedì di novembre non hanno vinto i repubblicani, sta nascendo qualcosa in più: un progetto di potere in questo tempo rivoluzionario», ha scritto sul Corriere della Sera. Ed è vero che sotto la spinta politica e ideologica di Trump e del suo mentore, il miliardario, visionario e reazionario Elon Musk la stessa nozione di democrazia è destinata a trascolorare in qualcosa di diverso, forse in un’era di passività dei popoli soggiogati da algoritmi e poteri invisibili: non è più fantapolitica.
Di fronte a questa svolta, la sinistra chiacchiera d’altro ma «balbettare la ripulsa di tutto questo in nome del politicamente corretto o discutere appassionatamente, se si debba, a sinistra, essere più moderati o più estremisti, è un diletto per perditempo», ha osservato Veltroni. Al momento da noi c’è solo un uomo che sta dicendo no al neo-interventismo della great America: si chiama Sergio Mattarella, un leader che ormai si muove nel vuoto pneumatico della politica, e che definiremmo come di Alcide De Gasperi disse sua figlia, «uomo solo». Ma meno male che c’è, uno come lui.