Tara Thacker è un’artista statunitense rinomata per le sue sculture e opere murali di grandi dimensioni, composte da migliaia di elementi in argilla realizzati individualmente e combinati per creare un effetto di fluidità e morbidezza. Nata in Virginia, si è trasferita a Seattle per frequentare l’Università di Washington, dove ha conseguito il suo MFA in Ceramica nel 1995. Attualmente risiede a Eden Mills, Vermont, dove lavora come docente di scultura presso la Northern Vermont University a Johnson.
Le opere di Thacker sono caratterizzate da astrazioni che richiamano forme naturali, strumenti utilitari, cesti da pesca e trappole, con un tema centrale che ruota attorno alla linearità. Altamente tattili e monocromatiche, le sculture di Thacker si distinguono per la loro ripetizione centrale nel processo creativo. Le opere iniziano con un singolo elemento che ripetuto crea come dei blocchi architettonici, combinati poi in varie forme per esplorarne le interazioni visive. Utilizzando migliaia di parti in porcellana legate e intrecciate compulsivamente insieme, Thacker crea superfici e paesaggi ambigui che sfidano le aspettative sul materiale.
L’artista intende creare opere che sfidano le convenzioni della ceramica, spesso presentando sculture dalle tonalità monocromatiche, principalmente nere e bianche. Come lei stessa ci ha raccontato non concepisce il suo lavoro se non monocromatico, perché «il mio processo si basa sulla ripetizione della forma, lavorare con un solo colore aiuta a enfatizzare i dettagli, le varie texture e celebra anche le ombre, sia all’interno dell’opera che quelle che vengono proiettate sul muro e sono un’estensione dell’opera».
Usi tecniche complesse: quanto lo studio di tecniche e arte ha influenzato il tuo percorso?
Molto, sono sempre stata una persona creativa, ma prima dell’Università non avevo mai “studiato” per diventare un artista. Mi ritengo perciò molto fortunata ad aver frequentato un ottimo corso di laurea presso la Virginia Commonwealth University, che è ancora oggi una delle migliori scuole d’arte della regione. In seguito, ho proseguito per conseguire il mio Master of Fine Arts in Ceramics presso l’Università di Washington a Seattle e ho avuto l’opportunità di lavorare accanto a studenti e colleghi straordinari e di imparare dalla rinomata scultrice ceramica, Patti Warashina.
Come sei arrivata alla ceramica?
In realtà volevo imparare le tecniche di gioielleria e metallurgia, era il focus del mio corso di laurea. Poiché si trattava di un programma di laurea triennale ho seguito anche altri corsi di arte e mi sono subito innamorata dei corsi di ceramica e scultura. Ho quindi deciso di cambiare focus e iniziare a creare opere tridimensionali più grandi, poiché le opportunità tecniche e concettuali sembravano illimitate. Non mi sono mai pentita e ancora oggi l’argilla è il mio materiale preferito non solo per la sua bellezza tattile e malleabilità, ma anche per le sfide tecniche e storiche che comporta.
Hai menzionato l’esperienza tattile nella tua ricerca. Incoraggi a toccare le tue opere?
Ho scoperto che la maggior parte degli spettatori desiderava toccare le mie opere, ma spesso ha paura perché sembrano delicate. E, poiché ci sono le solite regole di esposizione “non toccare”, cerco il più spesso possibile di essere presente e incoraggiare io stessa le persone a toccare l’opera. Spesso sono sorpresi di trovare una superficie ceramica dura anziché l’impressione morbida simile a un tessuto che si aspettavano. Mi nutro di questa ambiguità perché tiene lo spettatore vigile, attento e imparo io stessa sempre qualcosa di nuovo sul mio lavoro da queste osservazioni.
La materia è perciò il punto di partenza della tua arte?
Al centro del mio lavoro artistico c’è un amore infinito per la materialità e un fascino continuo per il processo di trasformazione. La ripetizione della forma è il tema centrale nel mio processo creativo. Raramente faccio un progetto iniziale o disegno l’opera poiché mi piace vedere cosa si sviluppa. Sono assorbita in un processo creativo intenso, al limite dell’ossessivo. Ogni parte individuale è unica e funge da componente architettonico che combino in vari modi per scoprire come si comportano visualmente. E il processo mi spinge a voler fare sempre qualcosa di nuovo con la materia, a trascendere la sua esistenza iniziale e creare una nuova superficie imprevista con pattern e texture immersive.
Molte opere sono appese: qual è il tuo rapporto con la scultura?
La maggior parte delle mie opere scultoree le presento a parete. Mi piace la sfida tecnica che questo comporta e, ancora più importante, utilizzo l’ombra come estensione dell’opera. Ad esempio, ho una serie di forme ceramiche lineari che chiamo “Cesti d’Ombra” che installo e successivamente documento le ombre che l’installazione produce. Questa documentazione è stata essenziale per fare crescere il mio lavoro in nuove direzioni, inclusa l’ispirazione per la mia pratica di disegno, una serie di fotografie digitali, una serie di stampe calcografiche. Perciò è forse l’ombra l’elemento che da sempre più nutre il mio lavoro.
Nessun collegamento con il tema del volo?
In parte, a dire il vero le mie ultime produzioni traggono ispirazione dal mondo aviario e si basano su temi di ripetizione della forma e trasformazione del materiale per creare opere stratificate e tattili che fanno riferimento a paesaggi notturni e alle strutture alari degli uccelli. Ma non è sempre stato così.
Il tuo è un lavoro astratto?
Senz’altro è insita nel mio linguaggio espressivo. Il mio processo creativo coinvolge temi di ripetizione, accumulazione e trasformazione per creare opere d’arte che spero rivelino un senso di bellezza. Attraverso l’astrazione miro a stabilire un collegamento tra osservazione e memoria e a trasmettere un senso di meraviglia con il mio lavoro.