House of BruxellesCome procede il percorso di allargamento dell’Ue verso i Balcani occidentali

La Commissione europea ha annunciato che l’obiettivo è far entrare nell’Unione uno dei sei Stati entro questa legislatura, e il Montenegro è il primo della lista

AP/Lapresse

La nuova Commissaria europea per l’allargamento e le politiche di vicinato, Marta Kos, ha definito «realistica» la prospettiva che uno o più Paesi dei Balcani occidentali entrino a far parte dell’Unione europea entro questa legislatura. Pur mancando una tabella di marcia con date certe e scadenze definite, la linea politica della nuova Commissione europea, emersa anche in occasione del meeting “Eu-Western Balkans” della settimana scorsa, non cambia rispetto al passato: cooperazione, sostegno nel percorso di integrazione e molta attenzione alle riforme su stato di diritto, giustizia e diritti fondamentali. La previsione della Commissaria Kos non sembra così inverosimile e lo si evince anche dalle conclusioni sull’allargamento pubblicate dal Consiglio europeo: nonostante un quadro eterogeneo, si evidenziano gli importanti progressi di alcuni Paesi.

Chi sembra essere più avanti degli altri in questo senso è il Montenegro, che ha ottenuto lo status di candidato nel 2010 e ha avviato i negoziati nel 2012. Dopo la fine del dominio politico dell’ex presidente Milo Djukanović c’è stato un punto di svolta e recentemente sono stati fatti grandi progressi sui capitoli legati a «sistema giudiziario e diritti fondamentali» e «giustizia libertà e sicurezza», storicamente tra gli aspetti più delicati nel percorso di adesione. Un’accelerazione arrivata grazie al governo guidato da Milojko Spajić, a capo del partito Evropa sad (Europa ora!) in carica dal 2023. C’è ancora qualcosa da migliorare in materia di indagini, azioni penali e condanne definitive ma la strada è quella giusta. Nonostante qualche recente tensione politica con la Croazia e l’allargamento della maggioranza di Governo ad alcuni partiti vicini alla Serbia, l’obiettivo dichiarato di Podgorica resta quello di concludere i negoziati di adesione nel 2026 ed entrare a far parte del blocco europeo nel 2028. «Recentemente c’è stata una convergenza di carattere politico che ha favorito l’avvicinamento del Montenegro, già membro Nato, all’Unione europea – spiega a Linkiesta Giorgio Fruscione, ricercatore dell’Ispi (l’Istituto per gli studi di politica internazionale) – soprattutto da quando un anno fa è stato eletto il nuovo governo che ha dato un forte slancio europeo. A Bruxelles hanno intuito che potrebbe essere il momento giusto per la chiusura del cerchio e non sarà qualche incomprensione politica a fermare il percorso di Podgorica».

Anche l’Albania di Edi Rama è ben posizionata. Tirana ha aperto i negoziati su alcuni cluster fondamentali relativi ai criteri economici, al funzionamento delle istituzioni democratiche e alla riforma della pubblica amministrazione. Ci sono stati importanti progressi sulle questioni fondamentali e sullo stato di diritto ma restano ancora alcune lacune relative alla riforma della giustizia, all’indipendenza dei media e alla tutela delle minoranze. «Il governo albanese sta lavorando bene sul percorso di adesione – continua Fruscione – sia dal punto di vista delle riforme, con lo screening della magistratura e del sistema giudiziario locale richiesto dalla Commissione, che della continuità politica. Edi Rama sta coltivando relazioni importanti con i Paesi dell’Unione europea, Italia in primis. Fa tutto parte di un quadro più ampio finalizzato ad avvicinare Tirana e Bruxelles. Anche l’annuncio di voler creare un microstato sovrano all’interno del Paese che seguirà le pratiche dell’Ordine Bektashi (un ordine sciita fondato nel XIII secolo in Turchia) mostrandosi tollerante verso le minoranze è una mossa che va in quella direzione».

Fino a un paio di anni fa si poteva immaginare un percorso simile a quello albanese anche per la Macedonia del Nord, che invece sta vivendo una fase di regressione da quando al governo c’è Hristijan Mickoski – a capo di una coalizione formata dal centrodestra e dai nazionalisti. Le maggiori preoccupazioni di Bruxelles riguardano soprattutto il sistema giudiziario, la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata. Per il momento la situazione resta in stand-by ma senza un deciso cambio di rotta del nuovo Governo difficilmente ci saranno progressi significativi nel breve-medio periodo.

Per la Bosnia-Erzegovina il 2024 è stato l’anno che ha ufficialmente avviato i negoziati ma Sarajevo ha ancora tanta strada da fare. Il Consiglio europeo ha rilevato come da marzo le riforme siano totalmente in «fase di stallo» e non è stato nemmeno nominato un capo negoziatore. Prima ancora delle questioni legate allo stato di diritto e al rispetto dei diritti fondamentali, a preoccupare la Commissione europea è la questione della Republika Srpska, la Repubblica serba di Bosnia che minaccia l’unità nazionale e l’ordinamento costituzionale del Paese, oltre a mantenere rapporti molto stretti con la Russia. Sulla Republika Srpska è forte l’influenza del premier serbo Vučić, una figura molto ingombrante che continua a rappresentare un fattore imprevedibile per la stabilità dell’intera regione.

La Serbia è in questo momento il Paese più lontano dall’Unione europea. Nel 2024 non è stato aperto nessun nuovo capitolo negoziale e l’atteggiamento di Vučić a livello internazionale continua ad infastidire la Commissione. Al contrario di Rama, il Presidente serbo non sembra troppo attento alle sollecitazioni di Bruxelles e nonostante i vari moniti continua a flirtare con Putin. Per il momento Belgrado non ha dimostrato coerenza nell’attuazione delle riforme indicate e la comunicazione del Governo sui rapporti con l’Unione europea continua ad essere molto ambigua. Stato di diritto, rispetto dei diritti fondamentali, libertà di espressione e libertà dei media restano i problemi principali ma il vero elefante nella stanza è rappresentato dalle relazioni con il Kosovo. Il futuro dei due Paesi passa da un percorso di normalizzazione delle relazioni che, al contrario, negli ultimi due anni sono ulteriormente peggiorate.

«Stiamo assistendo in questi giorni alle ennesime proteste di piazza a Belgrado contro il Governo di Vučić. Il presidente serbo con i suoi metodi autoritari e il suo atteggiamento ambiguo in politica estera allontana i serbi dall’UE – sottolinea Fruscione –. La Serbia è il Paese che ha lavorato peggio negli ultimi anni e il fatto che non siano stati aperti nuovi capitoli negoziali nel 2024 ne è la dimostrazione. Con questo esecutivo vedo molto difficile un avvicinamento di Belgrado a Bruxelles. Soprattutto se non cambierà l’approccio con il Kosovo. Pristina a febbraio tornerà al voto e sarà un test importante per il primo ministro Kurti. A meno di clamorosi scossoni dovrebbe essere rieletto, anche in virtù dell’atteggiamento tenuto nei confronti della Serbia. Certo che se non si normalizzano le relazioni con Belgrado, anche per il Kosovo la strada verso l’Unione europea rischia di essere molto in salita».

Il ventottesimo Paese indicato dalla Commissaria Kos potrebbe dunque essere il Montenegro, seguito dall’Albania. Per gli altri quattro il percorso sembra ancora lungo. In ogni caso per Bruxelles diventerà fondamentale rafforzare la cooperazione con tutti i partner e aumentare la propria sfera d’influenza nei Balcani. Soprattutto in questa fase di polarizzazione geopolitica nella quale l’Unione europea non può rischiare di avere poco peso politico in un’area oggetto di forti attenzioni da parte di Cina e Russia, da sempre interessate a destabilizzare una regione che si trova nel cuore dell’Europa.

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