Anche la famosissima (e fumosissima) inchiesta sulla Fondazione Open, ma chi l’avrebbe mai detto, è caduta ieri, dopo sei anni, senza nemmeno arrivare al processo. Prosciolti tutti gli accusati, a cominciare da Matteo Renzi. Il leader di Italia viva se la prende ora con il pubblico ministero («lo stesso che ha aggredito la mia famiglia») che domani se ne andrà in pensione «senza pagare per le sue perquisizioni illegittime e per la sua indagine incostituzionale».
Ma anche con i tanti avversari politici, interni ed esterni, che hanno usato l’inchiesta per attaccarlo, da Giorgia Meloni a Pier Luigi Bersani. In compenso, tra i primissimi a esprimergli solidarietà è arrivato Matteo Salvini, in attesa proprio oggi della sentenza sul processo Open Arms.
Attorno a queste vicende si ripresentano dunque ancora una volta, come sempre a prescindere dai fatti e a dispetto di ogni logica, lo schieramento cosiddetto giustizialista, a sostegno della magistratura, e lo schieramento cosiddetto garantista, a sostegno di Renzi e Salvini, secondo i canoni di un bipolarismo giudiziario che si è cementato per decenni attorno alla figura di Silvio Berlusconi (uno dei tanti effetti perversi del bipolarismo di coalizione in cui abbiamo imprigionato il sistema politico e il dibattito pubblico).
Eppure si tratta di vicende diversissime, per molti versi opposte. Se le parole avessero ancora un senso, infatti, i garantisti dovrebbero indignarsi allo stesso modo per le accuse infondate con cui Renzi è stato colpito in questi sei anni, in nome della giustizia, dalla magistratura, dalla stampa e dagli avversari politici, e per la violenza subita dai naufraghi tenuti in ostaggio per giorni sulla nave dell’ong Open Arms, in nome della politica, dall’allora ministro dell’Interno Salvini.
Le garanzie che dovrebbero stare a cuore ai garantisti sono quelle dello stato di diritto e dovrebbero servire proprio a tutelare l’individuo dagli abusi dell’autorità, che si tratti di un magistrato o di un ministro.
Per la stessa ragione, sempre se le parole avessero un senso, e se idee e principi contassero ancora qualcosa, i garantisti e i liberali dovrebbero oggi stare dalla parte dei magistrati sotto attacco per le loro decisioni sui migranti che il governo voleva spedire nei centri albanesi, giustamente fatti riportare indietro, nel rispetto del diritto europeo e italiano.
Come conferma l’illustre schieramento internazionale che si è mobilitato a difesa di Salvini, dai patrioti di Viktor Orbán a Elon Musk, questo perverso bipolarismo giudiziario, a lungo andare, rischia di portarci direttamente in Ungheria.