C’era da aspettarselo che Donald Trump avrebbe nominato un segretario dell’Energia diametralmente opposto all’attuale: del resto, la sua proposta di politica energetica è molto lontana da quella di Joe Biden ma occupa un posto altrettanto centrale nella sua idea di futuro per l’America.
Se infatti Jennifer Granholm, in carica dal 2021, ha incarnato la visione di Biden di una transizione ecologica che garantisca fabbriche e occupazione e che permetta agli Stati Uniti di vincere la competizione tecnologica del XXI secolo, Chris Wright – il nome scelto da Trump – è un petroliere che enfatizza il ruolo dei combustibili fossili nel progresso economico dell’umanità.
Granholm non sapeva granché di energia ma aveva esperienza politica, avendo lavorato alla reindustrializzazione del polo automobilistico di Detroit da governatrice del Michigan; per Wright vale il contrario. I motti che hanno ispirato l’operato di Granholm sono stati «JOBS, JOBS, JOBS» e «Build back better»; le parole-chiave che caratterizzeranno il mandato di Wright saranno invece «energy dominance» e «drill, baby, drill».
Chris Wright ha cinquantanove anni, è laureato in ingegneria al Massachusetts institute of technology e di lavoro fa l’amministratore delegato di Liberty Energy, un’azienda di servizi petroliferi attiva nel campo del fracking, la tecnologia di estrazione che ha permesso agli Stati Uniti di diventare i maggiori produttori di greggio e gas naturale al mondo. Nell’ambiente è noto per il suo stile comunicativo netto e scenico: in un video ha bevuto un bicchierino di fluido per il fracking per dimostrare che non provoca rischi alla salute; in un altro ha accusato The North Face di ipocrisia perché le fibre dei suoi capi di abbigliamento sono derivate dagli idrocarburi.
Wright non è uno sciocco o un freak, e la sua carriera lo dimostra (a ventisette anni ha fondato una società di software per la mappatura dei giacimenti di petrolio). Tuttavia nelle sue dichiarazioni minimizza spesso le conseguenze del riscaldamento globale: ha detto per esempio che «non c’è nessuna crisi climatica» in corso e che il vero pericolo per la vita sulla Terra sarebbe un dimezzamento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera perché le piante ne hanno bisogno per la fotosintesi.
Non è però un negazionista assoluto, come si evince dalla lettura del rapporto Bettering Human Lives redatto da Liberty Energy: «L’espansione dell’approvvigionamento energetico globale attraverso l’aggiunta dei combustibili fossili ha migliorato notevolmente la condizione umana, ma», c’è scritto, «ha anche comportato il rischio di cambiamenti climatici causati dall’aumento dei livelli atmosferici di anidride carbonica e di altri gas serra». E ancora: «Il cambiamento climatico è una sfida reale e globale che dobbiamo e possiamo affrontare. Tuttavia, rappresentarlo come la minaccia più urgente oggi per l’umanità sposta le attenzioni sulle minacce più pressanti della malnutrizione, dell’accesso all’acqua potabile, dell’inquinamento atmosferico, delle malattie endemiche e dei diritti umani».
Per Wright, insomma, il pianeta si sta riscaldando ma non è una catastrofe e il processo può essere gestito tramite l’ingegno umano e l’innovazione tecnologica. Non ama le automobili elettriche e nemmeno i sussidi all’eolico e al fotovoltaico, però la sua azienda investe nelle batterie al sodio e nella geotermia; lui stesso siede nel consiglio di amministrazione di Oklo, società californiana che sviluppa piccoli reattori nucleari (il presidente è Sam Altman di OpenAI).
L’idea alla base del pensiero del futuro segretario dell’Energia è che l’umanità ha bisogno di più combustibili fossili affinché più persone possano uscire dalla povertà. Il suo dipartimento cercherà allora di stimolare la produzione oil & gas in modo da far scendere i prezzi per i consumatori americani – così ha promesso Trump in campagna elettorale – e da far raggiungere agli Stati Uniti una posizione di dominio sui mercati energetici globali.
In verità, il dipartimento dell’Energia non ha tanti strumenti per incoraggiare le estrazioni di idrocarburi; né è scontato, peraltro, che i petrolieri rispondano alla chiamata del governo, non dovendo rendere conto alla Casa Bianca bensì agli azionisti (che in questa fase preferiscono la disciplina fiscale e i dividendi alle spese per le trivellazioni).
Quello che invece il dipartimento di Wright potrà fare è accelerare l’approvazione dei nuovi progetti di esportazione di gas liquefatto: l’amministrazione Biden ha sospeso i permessi per effettuare una valutazione del loro impatto climatico; il governo Trump dice di voler revocare la moratoria per rinsaldare la energy dominance americana. Wright, inoltre, potrà riorientare i prestiti governativi alle “tecnologie pulite” in una direzione più favorevole alle Big Oil, che hanno investito nella produzione di biocarburanti e idrogeno, nella cattura del carbonio e nell’estrazione di litio e risorse geotermiche: tutte attività utili alla transizione ecologica e affini al business primario delle grandi compagnie petrolifere.
Il dipartimento dell’Energia, infine, è coinvolto nell’autorizzazione delle opere di trasmissione dell’elettricità. Considerato che la transizione verde è un grande processo di elettrificazione, e considerato che la domanda di elettricità negli Stati Uniti è tornata a crescere dopo decenni di stagnazione (merito dell’intelligenza artificiale), in questo caso Wright potrà soddisfare sia i repubblicani che i democratici attraverso l’impulso ai reattori nucleari, una tecnologia gradita a entrambi i partiti.