Identità puglieseAltamura non è solo pane, ma può fare rima anche con pizza

Ci viene spesso raccontato di come gli inizi delle professioni legate al mondo enogastronomico nascano dalla passione. A volte, però, non si tratta solo di questo. A volte la spinta può arrivare dalla pura e semplice necessità di lavorare. Come nella storia di Francesco Pellegrino

La narrazione gastronomica sembra vivere ormai di una luce emotiva legata alla passione, ai ricordi, a quel non riuscire a stare lontani dalla cucina, ai piatti della nonna la domenica, che magicamente riprendono vita in ogni menu creativo. La famiglia è un ritorno costante nella mente e nelle mani di coloro che cucinano per professione. Provate a chiedere a uno chef qualsiasi da cosa trae ispirazione: la maggior parte vi risponderà rispolverando l’amore per la nonnina, spesso originaria del sud, e per quei piatti, preparati un tempo con amore, che oggi riescono, grazie a tecnica e competenza, a trovare una nuova, e più elevata, dimensione. 

Il lavoro nasce per passione e si è animati da un fuoco sacro che non si può non ascoltare. Certo, dietro questa narrazione c’è un aspetto romantico e romanzato, che può colpire nel cuore e nel segno, ma, diciamolo pure chiaramente: quanto è più sincero e simpatico quello che, invece, ammette candidamente di essersi ritrovato in cucina per pura e semplice necessità? A volta capita, infatti, che ci si debba rimboccare le maniche per vivere e allora il lavoro arriva per caso, ci si arrangia come si può e poi il destino ci mette lo zampino. Succede, eh, molto più spesso di quanto si possa pensare o ci raccontino le interviste che leggiamo sui giornali. «La mia pizzeria è nata per necessità quando avevo ventitré anni. Era il periodo del boom delle pizzerie da asporto, quella che all’epoca era la mia fidanzata (oggi moglie) era incinta, ci siamo sposati e avevo appunto la necessità di avere un’attività mia, di lavorare per la mia famiglia». Ha cominciato così Francesco Pellegrino, ormai più di quindici anni fa, in un momento storico in cui le pizzerie erano molto diverse rispetto a quelle che conosciamo oggi. Lui è nato nella terra del pane per eccellenza, in quella Altamura, prima in Europa a ottenere il marchio DOP per un prodotto da forno, figlio d’arte, in realtà, di un altra produzione importante nell’Alta Murgia, quella dei prodotti caseari. La famiglia di Francesco, infatti, da tre generazioni possiede uno dei caseifici più importanti e storici della città ed è anche in questo legame che possiamo intravedere i semi dello sviluppo attuale della sua professione. Nonostante, infatti abbia studiato tecnologia alimentare all’Università, laureandosi con una tesi sul Canestrato Pugliese, altra interessante DOP del territorio, la sua carriera come casaro non è mai decollata e i suoi studi l’hanno portato ad appassionarsi maggiormente al mondo del grano e delle sue trasformazioni.  Francesco ha poi capito che era meglio utilizzarla, quella mozzarella, piuttosto che produrla, e così è nata la Pizzeria Levante (stesso nome utilizzato anche nell’azienda di famiglia). «È stato una sorta di investimento: all’epoca non avevo nessuna nessuna formazione da pizzaiolo, ma sapevo potesse essere un affare redditizio» — spiega. 

Scommessa più che vinta, visto che dopo qualche anno Francesco ha deciso di cambiare location, facendo decollare l’attività nella sua nuova forma. «All’inizio ho fatto un corso per pizzaiolo molto basico, dove ti spiegavano cosa fosse la farina. Io avevo comunque un corredo che mi ero portato dietro dall’università: la chimica, la fisica, i processi di trasformazione, sapevo cosa fosse la farina, conoscevo le sue proteine. Ero già ferrato su tutta la materia, ma mi mancava quella parte pratica: non sapevo fare un impasto o stendere una pizza». Francesco continua a studiare, cerca corsi con un approccio diverso, gira l’Italia per assaggiare le pizze dai migliori professionisti. «Da lì è nato Francesco Pellegrino come pizzaiolo». Una nuova vita, un nuovo lavoro e, sì, una nuova passione. La pizza lo ha portato, infatti, a voler approfondire la conoscenza su tutto il settore dei lievitati, dando vita così alle collezioni dedicate a panettoni e colombe. 

Padellino, pizza tonda, in pala, in teglia: il mondo di Francesco fa rima con tante cose e sicuramente trova nella sperimentazione e nella ricerca la sua strada principale: «Anche sulla mozzarella abbiamo fatto uno studio e messo a punto un fior di latte che potesse andar bene per le tipologie di pizza che faccio. Sembra una cosa semplice, ma c’è tanta ricerca dietro quello che facciamo» — dice Francesco. Ricerca e collaborazioni con realtà interessanti da un punto di vista territoriale e imprenditoriale. «Ho la fortuna di avere un due amici, forse più pazzi di me, che hanno un allevamento  di bufale in Basilicata e poi producono qui in Puglia la mozzarella: il risultato è che posso avere un prodotto fresco tutti i giorni, prodotta qui sul posto». 

Connessioni culturali che respirano il vento della Murgia, ma che poi si spingono verso il mondo. «Gli impasti che facciamo sono molto personali. Lavoriamo sulle proteine della farine e stiamo cercando di usarne una con un basso tenore proteico per ottenere un prodotto con una vita breve, ma una massima maturazione. E poi giochiamo con i topping: sono le esperienze che vivo in giro a darmi l’ispirazione, qualche piatto che ho assaggiato magari in vacanza in Sicilia o in Sardegna e mi è rimasto impresso. Così come anche i sapori dell’infanzia, che ritornano poi nelle mie creazioni» — dice Francesco. Ispirazioni, suggerimenti di gusto che dalla bocca si muovono verso la mente e lì rimangono, pronti per essere trasformati in qualcosa di nuovo. «Sono sempre  più convinto del fatto che la pizzeria debba andare di pari passo con la cucina, viaggiare sullo stesso binario, perché oggi l’esigenza del cliente cresce sempre di più e non ci si può limitare alla solita Margherita, ma andare oltre. E per fare questo devi studiare tanto e affiancarti a professionisti in grado di farti raggiungere quel punto nel tuo viaggio». La pizza cambia, e lo fa con un movimento lento ma continuo. «In questo periodo storico vediamo come si sta passando da una tipologia napoletana a una tipologia romana. Fino a cinque anni fa, per esempio, la romana faceva fatica a entrare anche nelle guide, oggi tanti pizzaioli napoletani hanno capito che ormai la pizza romana è parte del business, il cliente la richiede». 

Quella di Francesco Pellegrino è più una pizza contemporanea, con un cornicione pronunciato ma non esagerato. Una scelta premiata con l’inserimento nella Guida alle Migliori Pizzerie d’Italia del Gambero Rosso nel 2022, con due spicchi su tre al primo ingresso. E in questo suo menu riusciamo a spaziare nel territorio, come nell’Altura con stracciatella, pancetta artigianale alle erbe della Murgia, pomodorini gialli semidried, polvere di olive e basilico fresco, o come nella Cardon Giallo, con salsa di datterini gialli, mozzarella di bufala, funghi cardoncelli, guanciale di Martina Franca Cervellera e tarallo al seme di finocchio sbriciolato. Ma riusciamo anche a ritrovare gusti confortanti e tradizionali, come nella Parmigiana di Melanzane, o a fare un tuffo nei ricordi di infanzia con una Würstel e Patatine, fatta a regola d’arte per grandi e piccini. O ancora a immergerci nella semplicità, come nel caso della Margherita, preparata in occasione di Pizza Up lo scorso anno, che unisce la tradizione napoletana con quella pugliese. 

Questo articolo fa parte di “A Spicchi”, il progetto di  Petra Molino Quaglia. Qui il link per l’iscrizione alla newsletter mensile, da condividere con gli appassionati della pizza.

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