Wait and seeIl pragmatismo di Meloni in politica estera serve per nascondere l’irrilevanza dell’Italia

La premier fa l’atlantista e dice che bisogna dialogare con Trump, e aspettare e vedere che postura assumerà il presidente americano sul dossier ucraino. Ma la verità è che lei e l’Europa stessa rischiano di non contare nulla

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«Pragmatismo» è la parola magica che usa Giorgia Meloni per affrontare le questioni di politica internazionale. Ieri l’ha ripetuta molte volte come un mantra per spiegare alle (per lei ottuse) opposizioni come confrontarsi con Donald Trump. Le cancellerie europee e Bruxelles attendono nervose di capire se tra le minacce di dazi e la realtà ci sarà spazio per una convivenza conveniente. Se la pace giusta, di cui tutti si riempiono la bocca, tra Russia e Ucraina sarà una grande fregatura per gli ucraini, innanzitutto, e per gli europei che si troverebbero ai confini un imperialista vincente. Mosca si prenderebbe tutti territori occupati manu militari, avrebbe al confine un debole cordone di peacekeeping, impedirebbe a Kyjiv di entrare nella Nato. Sempre che al despota del Cremlino tutto questo, che pace giusta non è, vada bene, perché non è detto che Trump abbia questa forza sbandierata in campagna elettorale. Soprattutto, che abbia tutto questo interesse per le sorti del Vecchio Continente – come quando soffiava sul fuoco delle Brexit durante la sua prima presidenza.

Però Meloni è fiduciosa, wait and see, perché Donald non è il «nemico», ha detto la premier parlando alla Camera in vista del primo vertice europeo dopo le elezioni europee. «È indispensabile avere un approccio pragmatico, costruttivo, aperto, sfruttando le aree di fruttuosa cooperazione Ue-Usa e cercando di prevenire diatribe commerciali che certamente non farebbero bene a nessuno». E poi, non è opportuno arrivare alla trattativa con qualcuno dopo averlo definito un nemico.

Lasciate fare a lei, la mediatrice che sa come prendere per il verso giusto il tycoon americano e ketamina Musk, che sa navigare nelle turbolenti acque dell’Atlantico. Ursula von der Leyen e i politicamente pallidi Emmanuel Macron e Olaf Scholz si affidino alla premier italiana che “motosega” Javier Milei ha inserito nell’Olimpo dei sovranisti.

Per Meloni si parla di Trump per sentito dire, viene dipinto come il peggio che ci poteva capitare, dimenticando che è stato Joe Biden ha mettere quattrocento miliardi di dollari per difendere e rilanciare l’industria americana. Anche sull’Ucraina, secondo la premier, l’amico americano ha detto le stesse cose che sostiene lei, ovvero che Vladimir Putin deve prendere atto dei suoi settecentomila morti, di avere perso la guerra e che quindi è il momento di fare la pace. Mentre a Mosca ci pensano su, con lo stato d’animo sereno e pacifico che contraddistingue l’ex agente del Kgb, non bisogna abbandonare Volodymyr Zelensky.

«Tutte chiacchiere», sbuffa, seduto in un divanetto di Montecitorio, Vincenzo Amendola, che nei governi Conte II e Draghi si è occupato degli affari europei come ministro e sottosegretario alla presidenza del Consiglio. «La verità è che Meloni non conta nulla. La stessa Europa rischia di non contare nulla: i singoli Stati non hanno un euro. Se non fanno debito comune con gli eurobond e non investono in difesa, non avranno mai una forza di deterrenza. Se Trump e Putin si mettono d’accordo sulla testa di Zelensky – aggiunge Amendola, che fa parte dell’ala riformista del Partito democratico – la storia finisce lì. Vedremo cosa è in grado di fare Meloni ora che si è seduta nella stanza dei bottoni a Bruxelles».

Già oggi, prima del vertice europeo di giovedì, si vedranno i capi di Stato e di governo di Francia, Germania, Polonia, Regno Unito e Italia. Parteciperanno Zelensky e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa. A fare gli onori di casa sarà il segretario della Nato Mark Rutte, che pochi giorni fa ha detto che occorre passare a una mentalità di guerra. Meloni dovrà convincere Matteo Salvini e Viktor Orbán, e tutti gli amici sovranisti, che è necessario guardare in faccia la realtà. Per evitare che arrivi l’ora più buia.

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