Secondo uno studio pubblicato lo scorso ottobre da Nature Computational Science, la tecnologia alla base dell’intelligenza artificiale generativa potrebbe aggiungere fino a cinque milioni di tonnellate metriche di rifiuti elettronici (e-waste) entro il 2030. «Un aumento che esacerberebbe il problema dei rifiuti elettronici esistenti», ha detto Asaf Tzachor, ricercatore presso la Reichman University in Israele e coautore dello studio.
Si tratta di una frazione relativamente piccola della produzione di rifiuti elettronici, stando al recente report Global E-Waste Monitor 2024 (United Nations Institute for Training and Research, Unitar) che ci racconta che nel 2022 sono stati prodotti sessantadue miliardi di chilogrammi di rifiuti elettronici, in aumento dell’ottantadue per cento rispetto al decennio precedente. Stiamo parlando di 7,8 chili a testa a livello planetario. Tuttavia, è una parte significativa di un problema ancora in grande crescita, avvertono gli esperti.
Basti pensare – semplificando ma rende l’idea – che attualmente ci sono oltre 7,2 miliardi di smartphone in tutto il mondo, un numero che si prevede aumenterà nei prossimi anni (il mercato è cresciuto di un considerevole 7,8 per cento solo nel primo trimestre del 2024). «Molti nella società di oggi usano in numero sempre crescente computer e telefoni, nuovi elettrodomestici, monitor e sensori, e-bike, e-scooter, vestiti, giocattoli e mobili con elettronica integrata, utensili elettrici e apparecchiature a risparmio energetico come led, fotovoltaico e pompe di calore. Le aree urbane e remote sono sempre più connesse a internet e un numero crescente di data center soddisfa le esigenze della trasformazione digitale. Di fronte a tutto questo, sono urgentemente necessarie misure concrete per affrontare e ridurre i rifiuti elettronici», ha detto Ruediger Kuehr, Senior Manager del programma Scyle dell’Unitar e Professore Aggiunto del Dipartimento di Elettronica e Ingegneria Informatica presso l’Università Irlandese di Limerick.
Anche se spesso non ce ne accorgiamo, siamo circondati dall’elettronica ed è quindi comprensibile una reale preoccupazione legata al relativo smaltimento: i dispositivi spesso contengono materiali pericolosi o tossici che possono danneggiare la salute umana o l’ambiente se non smaltiti correttamente. Come nel caso specifico dei pannelli fotovoltaici, che nel 2050 produrranno secondo le stime ben sessanta milioni di tonnellate di rifiuti.
L’industria del riciclo dei pannelli fotovoltaici è partita, ma tanta strada è ancora da percorrere. Nel 2022, il mercato del riciclo dei pannelli è stato valutato in duecentocinquanta milioni di sterline. Si prevede che raggiungerà 1,29 miliardi di sterline entro il 2028 (fonte GreenMatch). Più in generale, solo il 22,3 per cento dei rifiuti elettronici è oggi formalmente smaltito e opportunamente riciclato, sempre secondo il 2024 Global E-Waste Monitor.
Ci sono anche casi virtuosi. Come la texana Noveon Magnetics, che estrae materiali critici da magneti commerciali scartati (motori, dispositivi medici, unità di archiviazione utilizzate dai data center, per esempio) o da quelli ritirati dalla catena di approvvigionamento a causa di difetti di fabbricazione o obsolescenza. Da questi materiali Noveon produce, con una lega composta da boro, ferro e neodimio, nuovi magneti, componenti critiche di generatori nelle turbine eoliche e nei motori dei veicoli elettrici. Secondo il Diprtaimento dell’Energia degli Stati Uniti, la domanda americana di questi magneti quadruplicherà entro il 2050, in parte a causa del miglioramento delle tecnologie industriali, come afferma il direttore commerciale di Noveon, Peter Afiuny: «Pompe industriali, compressori, sistemi Hvac… Il cinquanta per cento del nostro consumo elettrico è guidato da quei motori. Se affermi di voler raggiungere zero emissioni devi aggiornare quei sistemi e renderli più efficienti». L’azienda, che acquisisce tutti i suoi materiali a livello nazionale, produce un nuovo tipo di magnete ad alte prestazioni, utilizzando meno materiale rispetto alle versioni convenzionali, riuscendo così a far funzionare i suoi prodotti, a base di magneti riciclati, come – se non meglio – dei magneti prodotti “tradizionalmente”. Afiuny dice infatti che la società ha combinato una tecnologia proprietaria – che migliora la composizione e le proprietà dei materiali magnetici – con la sua tecnologia brevettata “Magnet-to-Magnet” che può riciclare fino al 99,5 per cento dei materiali di input, prevedendo così di produrre diecimila tonnellate all’anno entro cinque anni. Questi nuovi magneti serviranno gli stessi tipi di clienti da cui sono stati raccolti, come le aziende che utilizzano motori per alimentare l’elettronica di consumo e i prodotti medici e/o automobilistici. Il risultato è un virtuoso ciclo di riutilizzo.
Oltre ai potenziali danni causati dall’e-waste, bisogna anche considerare il valore dei metalli preziosi e altri materiali critici che invece hanno al loro interno e che vengono sprecati invece di essere riciclati.
«Il Global E-waste Monitor mostra che attualmente stiamo sprecando novantuno miliardi di dollari in metalli preziosi a causa dell’insufficiente riciclaggio dei rifiuti elettronici. Dobbiamo cogliere i benefici economici e ambientali di una corretta gestione dei rifiuti elettronici, altrimenti le ambizioni digitali delle generazioni future affronteranno rischi significativi», ha commentato Vanessa Gray, a capo della Divisione Environment & Emergency Telecommunications dell’Agenzia specializzata delle Nazioni Unite per le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione.
Rame, ferro, zinco, antimonio, manganese, nichel, argento, oro, palladio, cromo, titanio, bario, boro, berillio, sono alcuni dei materiali preziosi e rari contenuti in una qualsiasi scheda madre. Il riciclaggio, a seguito di opportuni trattamenti, potrebbe permettere un considerevole recupero di metalli preziosi e terre rare.
Ma anche la ricerca di base impegnata nella biodegradabilità è impegnata in questa direzione. Gli scienziati dell’Università di Tecnologia di Dresda in Germania sono riusciti a creare un circuito biodegradabile utilizzando una foglia d’albero. «Siamo rimasti sorpresi di scoprire che questi scheletri naturali di lignocellulosa, quasi frattale, non solo supportano le cellule viventi in natura, ma possono anche tenere insieme polimeri lavorabili in soluzione, anche a temperature relativamente elevate», ha detto Hans Kleemann, uno dei ricercatori dell’ateneo.
Anche se attualmente tale struttura naturale non è così robusta come i tipici circuiti stampati, questa ricerca mostra che l’industria elettronica non è esente dalla ricerca di modi per rendere i propri prodotti ecosostenibili.
La capacità di recupero dai rifiuti e-waste è mossa da ricerca e sapere industriale. Se anche il legislatore supportasse tale sforzo in poco tempo si potrebbero creare posti di lavoro, generare valore economico ed essere più sostenibili dal punto di vista ambientale. Win, win, win. Staremo a vedere.