Quando, nel 1992, l’Unione Europea ha deciso di creare due categorie di prodotti alimentari che per diverse ragioni, enumerate nel preambolo del regolamento 2081 di quell’anno, meritavano particolare tutela, un presupposto fondamentale della protezione, la “P” sia nella sigla Dop sia nella sigla Igp, era che si trattasse di qualcosa di speciale.
Attenzione, non stiamo dicendo speciale nel senso di eccezionalmente buono o con qualsiasi altra caratteristica organolettica spiccata. Stiamo dicendo molto più banalmente speciale nel senso che, rispetto a una categoria generale, quel determinato prodotto si caratterizzava meritando un occhio di riguardo.
Poteva essere il prosciutto di Parma: una Dop riconosciuta a esempio della generica categoria prosciutto, con caratteristiche particolari determinate dalla sapienza dei norcini e dall’aria dei luoghi di stagionatura. Poteva trattarsi di vini a denominazione di origine e indicazione geografica, speciali rispetto alle generiche categorie bianco, rosso, rosato, fermo, frizzante, spumante.
Ma c’è un prodotto, tutelato con la Igp sin dal 2009, che speciale rispetto a una categoria generale di cui dovrebbe costituire la punta di diamante non era mai stato, fino a cinque anni fa esatti.
L’aceto balsamico di Modena Igp è l’erede dell’aceto balsamico di Modena che il legislatore italiano aveva regolato nel 1965 per la prima volta, fissando una ricetta che non prevedeva nessun legame con il territorio emiliano, fatta eccezione per il riferimento del nome alla città della Ghirlandina, e nemmeno prevedeva ingredienti di origine emiliana o anche solo italiana. Quella dell’aceto balsamico di Modena, entrato in Gazzetta Ufficiale nel 1965, era quindi una ricetta i cui ingredienti potevano provenire da ogni parte del mondo e i cui parametri di definizione erano così ampi da consentire di mescolare aceti e mosti in tante diverse maniere per ottenere altrettanto diversi prodotti.
Naturalmente, quella creatura che si appresta a compiere sessant’anni non aveva nulla a che vedere con gli aceti balsamici tradizionali, tanto a Modena quanto a Reggio Emilia, realizzati esclusivamente a partire da mosto cotto, senza aggiunte di altri ingredienti, attraverso una fermentazione e quindi acetificazione caratterizzate dai tempi lunghissimi, con molti amorevoli travasi dalle botti più grandi a quelle più piccole delle cosiddette batterie.
Il prodotto nato ufficialmente nel 1965 non fu un successo immediato, le prime ricette che lo contemplano vennero pubblicate solo all’inizio degli anni Ottanta, ma da lì in poi la cavalcata fu tumultuosa. E naturalmente, in forza di una ricetta senza particolari restrizioni territoriali, la produzione non si limitò all’Emilia e nemmeno al Bel Paese. Quando all’inizio degli anni Duemila gli aceti balsamici tradizionali, che non erano mai stati oggetto di mercato ma erano rimasti ai margini delle logiche economiche, hanno ottenuto la protezione Dop (una per Modena e una per Reggio Emilia), i produttori di aceto balsamico di Modena, ovvero il frutto della ricetta del 1965, hanno pensato che potesse essere una buona occasione quella di stabilire ex post un collegamento territoriale anche con questa produzione.
L’operazione aveva evidentemente degli effetti collaterali: il prodotto che fino a quel momento era stato realizzato in diversi luoghi d’Italia ed Europa sarebbe diventato automaticamente un prodotto che non poteva più fregiarsi del nome aceto balsamico di Modena. Il riferimento geografico, infatti, da questo momento non avrebbe più caratterizzato un metodo, basato sul mix di ingredienti, ma un territorio dove quel mix veniva realizzato e rimaneva per almeno sessanta giorni prima di poter essere imbottigliato e venduto.
Poiché, nei decenni intercorsi tra il 1965 e quel 2009, in cui finalmente la Commissione Europea avrebbe accordato la Igp all’aceto balsamico di Modena, in molti e diversi luoghi d’Italia ed Europa si era sviluppata una produzione basata su quella ricetta del 1965, a metà degli anni Duemila serpeggiava il diffuso timore che ciò che era stato legale produrre, fino a poco tempo prima, non lo sarebbe più stato.
In Italia, questo ha portato a un lunghissimo contenzioso, con dei colpi di scena notevoli almeno per gli appassionati di vicende giudiziarie, tra quello che era il più grande produttore di “aceto balsamico di Modena 1965”, se ci è permesso usare questa espressione, il quale aveva la propria sede e principale stabilimento produttivo in provincia di Napoli, e i promotori della Igp a trazione emiliana. In Europa, questo portò diversi Paesi a esprimere perplessità rispetto all’ipotesi di restringere ciò che per oltre quarant’anni era stato uno schema senza vincoli stringenti.
La Commissione europea nell’approvare il regolamento 583 del 2009 tranquillizzò tutti, stabilendo che l’aceto balsamico di Modena che otteneva l’Igp era il prodotto caratterizzato dal legame con la città estense e le uve del territorio, mentre rimaneva assolutamente possibile utilizzare le parole aceto e balsamico, da sole e senza alcun riferimento a Modena, per individuare produzioni che nulla avessero a che fare con la città dell’Osteria Francescana.
In pratica, la commissione europea con questo regolamento non solo definiva la tutela della specialità, ovvero l’aceto balsamico di Modena Igp, ma individuava anche il genus a cui questa specialità apparteneva e rispetto a cui si stagliava, come qualcosa di intrinsecamente diverso e meritorio. La commissione infatti espressamente riconosceva che l’aceto balsamico generico non solo esisteva al momento in cui veniva riconosciuta a quello di Modena la Igp, ma aveva pieno diritto di continuare ad esistere.
Come se questo elemento non fosse trasparente e chiarissimo nel testo del regolamento 583, gli Italiani hanno agito come se, dopo il 2009, potesse esistere un aceto balsamico solo se di Modena Igp oppure se tradizionale di Modena o di Reggio Emilia Dop. Esattamente cinque anni fa, il 4 dicembre 2019, questo atteggiamento ingiustificato nelle norme e contrario a una previsione esplicita è stato spazzato via legalmente dalla sentenza Balema.
Il caso vedeva un produttore di aceto balsamico in Baden-Württemberg contrapposto al consorzio modenese che pretendeva l’interruzione dell’uso della denominazione “aceto balsamico” sul prodotto realizzato da questo acetificio teutonico.
La corte europea di giustizia non ha fatto altro che ribadire l’ovvio, ovvero quello che era già scritto nel regolamento 583 del 2009. Ma la cosa che stupisce, dal momento che in Italia troppo spesso la stampa è stata disattenta o vittima di comunicati parziali e interessati, è che già nel 2012 la Spagna aveva in modo trasparente e del tutto legittimo previsto la produzione sul proprio territorio di aceto balsamico, anche a partire dal sidro, mentre analoga previsione tecnica aveva adottato la Grecia nel 2014.
In pratica, in due importanti Paesi produttori, affacciati come noi sul Mediterraneo, appena tre e cinque anni dopo il regolamento 583, era stata data consistenza alla categoria aceto balsamico generico che la commissione Europea presupponeva nel momento in cui riconosceva la specialità aceto balsamico di Modena Igp.
E, forse lo avrete notato anche voi, nessuno aveva alzato un dito nei confronti di Spagna e Grecia, mentre ben diversamente hanno reagito istituzioni e consorzio quando tra il 2022 e il 2023 anche la Slovenia e Cipro hanno chiesto all’Unione europea di poter emanare norme tecniche per la produzione di aceti che contemplino la tipologia generica aceto balsamico. In tutta questa vicenda, quello che salta immediatamente all’occhio è la diversa reazione italiana nei confronti di Spagna e Grecia dieci anni fa. Difficile non pensare che il dilagare di sentimenti gastronazionalisti, unito alla minore considerazione per Paesi oggettivamente più piccoli rispetto a Spagna e Grecia, abbia giocato un ruolo. Tuttavia, la cosa più stupefacente è l’idea perseguita con le proprie iniziative da parte del consorzio, e più recentemente anche da parte delle istituzioni politiche italiane, ovvero che l’aceto balsamico di Modena Igp non debba essere una specialità ma debba rappresentare e anche esaurire la categoria, di cui invece era ed è la punta di diamante. Paradossalmente, un condimento realizzato unendo diversi ingredienti – eppure chiamato aceto con una evidente particolarità, dal momento che tutte le altre volte in cui si usa l’espressione aceto questo non è il risultato del mescolamento di diversi ingredienti – non ha puntato alla distinzione rispetto al mare magnum di analoghi condimenti agrodolci, ma punta ancora, in maniera giuridicamente poco coerente, ad essere interpretato come l’unico aceto balsamico possibile.
Abbiamo cercato di spiegare come questo orientamento si sia strutturato nel tempo, ma non possiamo non esprimere qualche perplessità rispetto non soltanto alla speranza di caratterizzare in maniera locale ciò che per decenni era stato semplicemente una ricetta, ma anche di escludere che, senza punto fare riferimento a luoghi italiani specifici, chiunque in Unione Europea potesse produrre un condimento agrodolce, chiamato semplicemente “aceto balsamico”.
Sono passati cinque anni dalla sentenza Balema, ma ci sembra che le domande sottese a queste riflessioni rimangano tutte al loro posto, mentre la strategia di promozione di questa grande invenzione italiana non sembra trovare nuovi spunti tali da garantire che la crescita continui. Forse, varrebbe davvero la pena di ripensare complessivamente l’idea alla base dell’aceto balsamico di Modena Igp, per darle un carattere veramente speciale, profondamente radicato in Italia, rispetto al grande mare dei condimenti agrodolci.