Inserito tra i nuovi termini della lingua italiana nel Libro dell’Anno Treccani 2024, il “pommelier”, sommelier del sidro, è una figura relativamente nuova nel nostro Paese, dove la bevanda ha ancora molta strada da fare per inserirsi nei menu di bar e ristoranti. I pommelier però in Italia ci sono, pochi ma appassionati, in genere giovani, formati all’estero e fieri di mettere a servizio le proprie competenze per ampliare la conoscenza e la diffusione di un prodotto che, come sottolineano, in realtà non è affatto nuovo per la cultura agricola di molte regioni della penisola.
Linkiesta Gastronomika ha chiesto a due di loro come si diventa pommelier e in cosa consiste il loro lavoro.
I pommelier in Italia
Mettiamo le cose in chiaro, quando si parla di sidro (la bevanda che si ottiene dal succo di mela o di pera fermentato) e di pommelier in Italia si fa riferimento a una nicchia, ma va detto anche che negli ultimi anni questa piccola porzione di bevande alcoliche sta trovando terreno fertile, grazie alla curiosità dei consumatori più giovani, alla gradazione relativamente bassa e all’intraprendenza di tanti piccoli produttori e comunicatori.
Oggi nel nostro Paese i pommelier si contano sulle dita di una mano. Quelli certificati sono appena cinque e il primo a ottenere il titolo è stato Marco Manfrini, trentino di Rovereto, che nel 2019 si è diplomato alla Beer and Cider Academy di Londra. In seguito l’accademia è stata assorbita dal Wine and Spirits Education Trust e la parte relativa al sidro è stata scorporata ed è passata nelle mani dell’American Cider Association, che oggi è l’ente di riferimento a livello internazionale per ottenere la certificazione.
Nel frattempo in Italia la community si allarga. «Nel 2023 abbiamo fondato l’Associazione pommelier e assaggiatori di sidro (Apas)» spiega Manfrini. «Siamo circa quattordici membri attivi, con una settantina di associati. Stiamo lavorando per portare il corso ufficiale in Italia e poter fare almeno il primo livello in lingua inglese». Al momento, infatti, le sedi di insegnamento più prossime sono Francoforte e Londra, tanto che la prima diplomata italiana dell’American Cider Association, la friulana Monika Sut, ha sostenuto l’esame direttamente a Portland, negli Stati Uniti.
Il sidro in Italia c’è sempre stato
«Le persone pensano che il sidro non faccia parte della cultura italiana, ma in realtà è sempre stato presente come nicchia nella cultura contadina e più proletaria», spiega Manfrini, sottolineando come, ignorando la tradizione autoctona si stia invece riscoprendo il prodotto a partire dall’estero. «Oggi in Italia il sidro è quello che conoscono i ragazzi più giovani, quelli che io chiamo la “generazione Ryanair”, che hanno scoperto il sidro in Regno Unito o in Francia, mentre il “vin de pomi” (vino di mele, ndr) è quello che conoscono le persone di una certa età. Nelle case contadine c’erano sia il vino di uva che il vino di mele, ma con due usi diversi – prosegue – il vino di mele diventava poi aceto di mele, che era un’altra maniera per conservare il prodotto. Una tradizione più comune nelle culture di montagna». E tra i due “vini” c’erano anche delle contaminazioni, come spiega il pommelier. «In Trentino abbiamo una ricetta secondo cui il vino di mele veniva prodotto riutilizzando le vinacce per far fermentare il succo d’uva. Spesso era proprio questa la bevanda che si consumava nelle case di campagna, mentre il vino veniva venduto per generare un introito».
A livello di mercato il sidro resta una nicchia, che spesso si muove attraverso i canali della birra e, da qualche anno, anche dei vini naturali. «Il sidro è una nicchia di consumo in tutto il mondo, anche nei Paesi in cui se ne beve di più – dice Manfrini – la differenza in Italia è che questo mercato non si è ancora sviluppato, quindi c’è del potenziale. E il potenziale c’è anche dal punto di vista produttivo. Abbiamo le migliori tecniche enologiche e una disponibilità di materia prima quasi esagerata, se si considerano tutte le varietà di mele che possiamo sfruttare». I produttori infatti ci sono già. Seppure non sfiorino neanche lontanamente il numero di birrifici o di cantine, ci sono realtà che investono sulla qualità e sulla ricerca, tanto a livello tecnologico quanto di materia prima, spesso lavorando varietà di mele e pere locali o antiche.
Poi c’è la questione della gradazione, a cui gli attuali trend sembrano piuttosto sensibili. «In generale a livello mondiale la variabilità è ampia, si va dagli 1,5 ai quattordici gradi. In media la gradazione alcolica dei sidri va dai cinque ai sette gradi». Molto inferiore rispetto a quella del vino, quindi, e più simile a quella della birra.
Cosa fa un pommelier
La figura del pommelier è a tutti gli effetti comparabile a quella del sommelier, tranne per un aspetto: ad oggi non c’è una diffusione tale del sidro da giustificare un pommelier di ruolo in un ristorante, a meno che non si tratti di un’insegna con una caratterizzazione specifica legata a questo prodotto. Per questa ragione, i pommelier si stanno muovendo soprattutto come comunicatori e consulenti.
«Ognuno cerca di portare un po’ del proprio lavoro all’interno dell’associazione», racconta Monika Sut, che dopo il diploma, ha iniziato a lavorare come consulente per la ristorazione, affiancando gli studi nel campo della tecnologia alimentare all’Università di Verona. «Organizziamo eventi, degustazioni e incontri formativi. Di solito i ristoranti che mi cercano sono stellati o fine dining, oppure locali specializzati in vini naturali, in genere a conduzione giovane e con una certa curiosità verso i fermentati. Capita che abbiano già del sidro in carta o che cerchino consigli», spiega Sut.
Per tutti i pommelier, l’impegno principale resta quello di diffondere una maggiore conoscenza sul prodotto. «Quello che è indispensabile in questo momento è la divulgazione, perché ad oggi il sidro non viene valorizzato per il suo potenziale e resta troppo spesso legato a qualche sporadica esperienza di assaggio, in qualche caso anche di prodotti che non vengono conservati nella maniera appropriata o difettati» afferma Marco Manfrini. «Assaggiare prodotti freschi, d’annata e fatti con criterio, cambia in maniera significativa l’apprezzamento. Per questo c’è bisogno di comunicare il sidro in maniera corretta». Ad oggi l’Apas è attiva con un sito web che raccoglie contenuti informativi e anche con una mappa, TrovaSidro, in cui sono censiti i produttori – attualmente più di un centinaio – e le insegne che servono sidro nella penisola.
«Per il 2025 stiamo lavorando a un documentario sul sidro italiano diretto dal regista Albert Minibaev, che raccoglie un anno di riprese con tutto quello che succede nella parte di campagna e in produzione, su tutto il territorio nazionale. C’è un crowd funding in corso per finanziarlo e sarà una bella fotografia della realtà del sidro nazionale». E in cantiere c’è anche un Festival.