Tronfi trionfiMeloni non governa, comanda, mentre l’opposizione attende e le spiana la strada

Italia debole, con economia fragile e disagio sociale, ma con una leader che vive un momento d’oro, in assenza di alternative. I suoi la immaginano a Palazzo Chigi fino al 2032, rendendo inutile la riforma del premierato

Le violenze di sabato a Roma e Bologna, messe in atto da gruppuscoli giovanili venati tra l’altro da una chiara spinta antisemita (l’attacco alla Sinagoga di Bologna, ingiustificabile in sé, che cosa c’entra con la morte del povero Ramy?), non impensieriscono minimamente il governo Meloni. Anzi, ne fanno il baluardo della legalità democratica. Forse creano addirittura consenso intorno al governo: il solito capolavoro dell’estremismo violento di estrema sinistra.

Questi fatti peraltro si innestano in una fase in cui la destra appare imbattibile. Infatti, in questi primi giorni dell’anno, i sostenitori di Giorgia Meloni appaiono carichi di entusiasmo. Lo si vede nei talk show, nelle dichiarazioni dei seguaci, nel tifo frenetico riversato sul social di Elon Musk, negli articoli dei maîtres à penser della presidente del Consiglio. Gli ultimi sondaggi sono positivi per Fratelli d’Italia, probabilmente risentendo della felice operazione che ha portato alla liberazione di Cecilia Sala, la cui eco però comincia già a sfumare: un ottimo successo della premier basato su quello che tutti sapevano, cioè lo scambio Sala-Abedini, quello che si è sempre fatto in questi casi.

In generale la sensazione degli italiani, sempre pronti a fiutare l’aria che tira, è che lei non solo governi ma comandi. Poco conta che la situazione reale del Paese sia molto debole sotto il profilo economico, sociale, culturale. Prima di prendere un treno bisogna farsi il segno della croce, metafora di un paese letteralmente fermo, che contraddice il racconto meloniano dell’Italia che corre: ma questo non lede minimamente la sua immagine. Molte persone pensano che senza di lei le cose andrebbero anche peggio e che almeno c’è una cosa che non si vedeva da anni, la stabilità. E, inutile dirlo, pesa il fatto che Giorgia Meloni non ha alternative.

Tutto questo autorizza uno dei massimi laudatores della premier, Mario Sechi, a fissare l’obiettivo Meloni 2032, cioè un disegno che passa per la sua vittoria alle politiche del 2027 (altro che «non so se mi ricandido») e porta dritto dritto a un secondo governo di legislatura fino al 2032, appunto. In effetti, se le cose stanno così, che bisogno c’è del premierato e di un referendum confermativo che è sempre un rischio – chiedere a Matteo Renzi – quando tutto sembra deporre a favore di un dominio personale che gli avversari non sanno attaccare e gli alleati non sanno scalfire?

Per tutto questo si è parlato di “premierato di fatto”: e la cosa è talmente verosimile che è parso che la premier al “premierato vero”, cioè per legge, quasi non ci tenga più. E che, sempre tenendo a mente la catastrofe renziana del 2016, in un passaggio poco notato della conferenza stampa ha detto che lei non intende impegnarsi personalmente negli altri referendum, con ciò disinnescando una potenziale mina, la famosa “spallata referendaria”.

Le opposizioni pensano però che prima o poi la forza della realtà, cioè la debolezza economica del Paese e l’insofferenza dei settori più deboli, manderà in pezzi tutti questi propositi di Giorgia e dei suoi aedi. Bisogna stare attenti, però, e non farsi prendere dal vizio dell’attendismo, un classico della sinistra che rimanda al funesto “tanto peggio tanto meglio”, un atteggiamento peggiorista che non ha mai portato nulla di buono per l’Italia e che di fatto dà l’idea di un’opposizione non competitiva.

Per il momento, in attesa che il centrosinistra si svegli, Meloni va, e senza bisogno di forzature costituzionali.

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