La Corte penale internazionale ha chiesto ieri spiegazioni all’Italia sul caso del presunto torturatore libico Najeem Osema Almasri Habish – detto anche, come usa da quelle parti, capo della polizia – che avevamo accidentalmente arrestato sabato e che martedì ci siamo prontamente lasciati scappare, riaccompagnandolo pure a casa con un aereo di stato, nonostante il mandato di cattura pendente su di lui per crimini di guerra e contro l’umanità. Come qui avevo segnalato già ieri, tutta la storia è talmente piena di cose che non tornano da suscitare imbarazzo nel darne conto anche solo per sommi capi: dal fatto che un simile soggetto fosse venuto in Italia per andare allo stadio con tre amici a vedere Juventus-Milan (lascio all’intelligenza del lettore indovinare di quale squadra potesse essere tifoso) al fatto che pure quei tre siano stati immediatamente espulsi e rimpatriati (per una volta che i centri albanesi potevano tornare utili a qualcosa, niente); dal cosiddetto «errore procedurale» che ne ha permesso l’immediata scarcerazione al lungo silenzio del ministro della Giustizia che sembrerebbe alla base del suddetto errore. L’elenco potrebbe continuare a lungo, ma penso di avere reso l’idea.
Come giustamente sottolineato dalle opposizioni, questa incresciosa vicenda mette in luce tutta l’ipocrisia del governo, e di Giorgia Meloni in particolare, con le sue tonitruanti promesse di «andare a cercare gli scafisti lungo tutto il globo terracqueo». Come se i veri responsabili del traffico di migranti si mettessero a rischiare la pelle al timone di bagnarole stracariche, e non fossero invece quegli stessi capi della guardia costiera (o della polizia) che noi finanziamo generosamente da anni. Per la precisione dal 2017, quando a Palazzo Chigi c’era Paolo Gentiloni e al Viminale Marco Minniti, entrambi del Pd (sempre a proposito di ipocrisia). Altro che dar loro la caccia in giro per il mondo, con questi personaggi il governo italiano si riunisce, discute, firma e rinnova puntualmente memorandum d’intesa con i quali chiede loro di tenere i migranti lontani dalle nostre coste, e pazienza se finiranno nei lager o ai lavori forzati, nelle camere di tortura o abbandonati nel deserto.
Una strategia che oltretutto consegna ai libici un immenso potere di ricatto nei nostri confronti, come conferma anche il fatto che giusto lunedì, alla vigilia della scarcerazione di Almasri, a Lampedusa sbarcavano improvvisamente cinquecento migranti, tutti in una volta, e tutti provenienti dalla Libia. È davvero un peccato, e un incredibile colpo di sfortuna, che la Corte penale internazionale non possa chiedere conto di tutto questo ad Almasri.
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