Pechino è lontanaLa Cina potrebbe sfruttare la presidenza Trump per migliorare i tesi rapporti con l’Ue

Xi Jinping punta a di ridurre le tensioni economiche e commerciali con Bruxelles per bilanciare le perdite previste dai dazi statunitensi, sperando che le nuove tariffe di Washington costringano i Ventisette a un accordo pragmatico per contrastare gli effetti delle politiche protezionistiche

AP/Lapresse

La rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca potrebbe riavvicinare Unione europea e Cina. O, almeno, questa è l’idea di Xi Jinping. Il presidente cinese, come già successo all’avvio del primo mandato del presidente eletto, sarebbe intenzionato a smorzare le tensioni con Bruxelles per recuperare sul versante europeo ciò che è probabile perda su quello statunitense con la promessa guerra commerciale di Trump. Non a caso, martedì 14 gennaio Xi ha parlato al telefono con il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa. Da entrambe le parti si è sottolineata l’importanza di migliorare le relazioni piuttosto tese, ma il modo in cui è stato raccontato il colloquio dalle due parti è sintomo di un diverso modo di intendere la questione.

Secondo quanto riferito da Pechino, Costa avrebbe detto che «le due parti dovrebbero cooperare invece che competere». Secondo fonti di Bruxelles, il presidente del Consiglio europeo avrebbe tuttavia usato parole differenti. «Pur concordando sul fatto che la cooperazione è preferibile alla competizione, il presidente Costa ha sottolineato la necessità di garantire condizioni di parità e di riequilibrare gli attuali squilibri commerciali ed economici», sarebbe stato il messaggio lanciato a Xi. Una specificazione che lascia capire come ciascuno dei due attori ponga l’accento sui propri interessi, che però sembrano essere contrastanti.

Dire «cooperare invece che competere» lascia intendere come l’obiettivo di Pechino sia quello di spingere l’Ue a rivedere le proprie politiche, ormai da tempo improntate a proteggere il mercato e le aziende europee dalla penetrazione di player cinesi più competitivi. Allo stesso modo, per Bruxelles «riequilibrare gli attuali squilibri commerciali ed economici» significa evitare che, per esempio nel campo delle auto elettriche, la Repubblica popolare faccia la parte del leone lasciando le briciole agli attori europei. 

In questo scenario, le pretese di una parte rappresentano un danno per l’altra ed è proprio per smussare le tensioni che ne conseguono che il dialogo deve proseguire. I dossier sul tavolo sono numerosi, a partire da quello sulle citate auto elettriche. A ottobre, l’Ue ha imposto dazi aggiuntivi fino al 35,5 per cento rispetto a quelli esistenti fissati al 10% alle importazioni di veicoli cinesi. Una mossa adottata al termine di un’indagine comunitaria che ha fatto luce su ingenti sussidi di Pechino alle proprie aziende ma che Bruxelles reputa sleali. Una misura volta a tutelare il mercato europeo che ha fatto infuriare Pechino, che ritiene i suoi interessi fortemente danneggiati.

Non è tutto: nei giorni scorsi, il ministero del Commercio cinese ha pubblicato un report in cui si accusa la Commissione europea di aver creato una nuova barriera commerciale tramite il regolamento sui sussidi stranieri. Una norma «sleale e non trasparente», la cui applicazione avrebbe causato perdite totali per due miliardi di euro a diverse aziende cinesi costrette a ritirarsi per evitare di incorrere in sanzioni. Dal canto suo, l’Ue ha risposto specificando che «il regolamento è concepito per garantire una concorrenza leale tra imprese e stati membri. Permette alla Commissione di rimediare le distorsioni che sono causate dalle sovvenzioni accordate dai governi non europei».

La concorrenza leale tra le parti è al centro anche di due recenti report. Il primo è stato pubblicato a inizio gennaio dalla Camera di commercio dell’Ue in Cina. L’inchiesta, condotta tra agosto e novembre 2024, evidenzia come le norme cinesi abbiano costretto molte aziende europee a rilocalizzare determinate funzioni o interi comparti operativi in Cina, pena, in caso di inadempienza, l’aumento delle barriere commerciali. Una dinamica denuncia il report, che altera la competitività degli attori europei, già minacciata dalla crescita dei competitor cinesi. Rilocalizzare certe funzioni, infatti, significa una duplicazione dei costi, il che a sua volta comporta un necessario aumento dei prezzi per rientrare delle spese e quindi una perdita di competitività. 

Il secondo report è stato invece pubblicato il 14 gennaio dalla Commissione Ue e lamenta una che la Cina stia limitando l’accesso dei produttori europei di dispositivi medici ai propri contratti governativi «in modo ingiusto e discriminatorio». «Siamo pronti a intraprendere azioni decise per difendere la parità di condizioni e sostenere una concorrenza leale», ha dichiarato a tal proposito il commissario per le Prospettive strategiche, lo slovacco Maros Sefcovic. 

Insomma, se da un lato si cerca un dialogo per migliorare le relazioni, dall’altro i rapporti tra Ue e Cina rimango segnati da reciproche accuse. La rielezione di Trump, però potrebbe dare una spinta per il superamento delle frizioni. Il futuro presidente Usa ha promesso una guerra commerciale con la Cina, ma anche l’Europa corre i suoi rischi vista la possibilità che Trump imponga nuovi dazi al venti per cento per tutti i prodotti.

Un avvicinamento dettato dal fattore-Trump è possibile, spiega a Linkiesta Filippo Fasulo, direttore scientifico del Centro studi per l’impresa della Fondazione Italia Cina e ricercatore Ispi, ma non sul lungo periodo. Nei confronti della Cina, l’obiettivo principale della Commissione guidata da Ursula von der Leyen rimane comunque quello di cercare il derisking, cioè essere sempre meno legati a Pechino o quantomeno instaurare una «dipendenza simmetrica» e non sbilanciata dalla parte cinese poiché ciò la renderebbe sfruttabile politicamente.

Il cambio della guardia alla Casa Bianca impone in ogni caso un diverso modo di pensare questo approccio. «Biden, nel muovere guerra alla Cina ha cercato di coinvolgere gli alleati nella sua strategia di contenimento», dice Fasulo. Soprattutto, «Biden motivava la sua azione anche in modo ideologico, con questioni legate alla democrazia. Trump invece è meno interessato a questo. Il suo ’America first’ lo porta a un approccio negoziale, a lui interessa alzare la posta per ottenere poi un accordo vantaggioso», con pochi riguardi per gli alleati. La strada tracciata dall’Europa sembra essere chiara, come la continua adozione di misure contro la concorrenza cinese lascia intendere: per migliorare i rapporti con la Cina non ci saranno sconti.

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