Muro contro muroI partiti non riescono a fare fronte comune nemmeno di fronte alle emergenze

Meloni non è abituata a unire il Paese, né per carattere né per formazione, e i suoi alleati di governo non aiutano. L’opposizione ha tentato delle aperture con Renzi e Schlein, ma in questa fase a entrambi un po’ di caos può giovare. Così nessuno è interessato davvero a stemperare la tensione

Unsplash

L’anno è iniziato sotto il segno del nervosismo, a dire poco, dunque in piena continuità con l’ultima parte del 2024. L’unità nazionale attorno al dramma di Cecilia Sala è durata pochissimo. Non è una buona cosa. Pierluigi Castagnetti ha osservato che «per risolvere il caso di Cecilia Sala il governo dovrà chiedere (e non viceversa) un gesto di solidarietà politica alle opposizioni in Italia. Che dovranno concedere». A dire il vero, a chiedere un coinvolgimento sono state le opposizioni senza che fosse il governo a rivolgere loro un appello unitario a procedere, pur nel riserbo, insieme. Dopo l’insistenza di Matteo Renzi e Elly Schlein, il governo ha fatto un gesto minimo di apertura – istituzionale più che politica – fornendo la disponibilità di Alfredo Mantovano a parlare al Copasir, cosa che è avvenuta ieri nel clima riservatissimo del Comitato. Ma contemporaneamente Giorgia Meloni ha messo in campo la sua “iniziativa americana” che sta riattizzando nuove, durissime polemiche sugli affari con Elon Musk destinate a restare vive; così come quelle sulle improvvise dimissioni di Elisabetta Belloni dalla guida dei servizi segreti, perché paiono leciti i dubbi su una scelta che probabilmente ha un significato polemico che sollecita una domanda inquietante: non è che Meloni vuole mettere le mani sui servizi?

Dunque il clima unitario che si poteva determinare sulla missione della premier a Mar-a-Lago si è dissolto ancora prima di prendere corpo e bisogna chiedersi perché il mondo politico non riesca a trovare un minimo di denominatore comune su nulla, lasciamo stare l’economia o le riforme, ma neppure davanti a un’emergenza nazionale.

Una ragione, non necessariamente la principale ma comunque decisiva, sta nel fatto che per formazione politica e carattere personale Giorgia Meloni non è esattamente una leader capace di unire il Paese, e questo dovrebbe costituire per lei e per la sua maggioranza un motivo di riflessione e per il Quirinale una ragione di preoccupazione: non è polemico evidenziare questo dato di realtà, ma semmai è la segnalazione di un dato politico per molti aspetti inedito.

Persino Silvio Berlusconi, un altro leader divisivo, seppe trovare accenti nazionali e unitari (il famoso discorso di Onna del 25 aprile 2009). Mentre a Meloni finora non è riuscito nulla di simile. Come se per lei il tema del coinvolgimento degli altri non esistesse, accontentandosi magari di delegarlo a un politico accorto come Mantovano, riservando e perpetuando per sé il ruolo di “cattiva”, se vista dall’opposizione, o quantomeno leader identitaria se vista dai suoi.

La questione da caratteriale però diventa politica nel momento in cui è tutto il governo ad alzare steccati nei confronti dell’opposizione, attraverso per esempio la mortificazione di un leader teoricamente più aperto come Antonio Tajani, tenuto fuori dagli atti che contano, sicché la competizione diventa tra Meloni e Matteo Salvini a chi è più tosto.

Da parte sua l’opposizione obiettivamente si trova sempre a sbattere il muso contro il muro meloniano. Il che fa gioco al radicalismo di Elly Schlein, che ha bisogno dell’una contro una nei confronti della premier di cui vuole prendere il posto. Fa gioco anche alla ritrovata verve polemica di Matteo Renzi, che ha in testa l’obiettivo principale di scontrarsi con Fratelli d’Italia e la sua leader come veicolo per accreditarsi nel centrosinistra.

Nella rissa permanente tra governo e opposizione – ma questo ormai è un dettaglio irrilevante – Giuseppe Conte non sa bene che pesci prendere: e infatti non ne prende nessuno in attesa di tempi migliori. Ma l’opposizione deve aprirsi nuove strade se vuole contare. Protestare con i tweet non basta. Il rischio di tutte queste spinte e controspinte è che la situazione da tesa possa diventare incandescente e presto incontrollabile. Sta al governo ma anche all’opposizione evitarlo, in un momento come questo.

X