Delirio d’onnipotenzaMeloni ha deciso di fare a testate con la legge, e rischia di farsi male

L’ostinazione della premier per la questione albanese è la dimostrazione di quanto ormai creda di essere al di sopra di qualsiasi cosa, anche dei giudici e delle norme europee

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L’ostinazione di Giorgia Meloni sulla questione albanese è un’ottima metafora di una donna che si sta un pochino montando la testa, e pensa di essere al di sopra di qualsiasi cosa, anche della legge e addirittura della realtà. Ieri ha brevemente riunito il Consiglio dei ministri – l’impressione è di una seduta abbastanza finta e dagli esiti predeterminati – per confermare l’utilità dei famosi centri in Albania ove trasportare, o deportare, immigrati detenuti in Italia. Una strategia che dopo la pronuncia negativa del Tribunale di Roma ha conosciuto la peggiore figuraccia della premier.

Ora, dice il governo, si ricomincia daccapo come se niente fosse, anzi, con specificate «soluzioni innovative» ma senza spiegare perché l’operazione dovrebbe improvvisamente funzionare. La presidente del Consiglio ha evidenziato «il forte consenso che è emerso anche in occasione della riunione promossa insieme ai primi ministri di Danimarca e Paesi Bassi con gli Stati membri più interessati al tema, a margine dello scorso Consiglio europeo», ma elude il problema di fondo che è quello della discrezionalità dei giudici nel valutare la nozione di “Paese sicuro”.

Lo ha spiegato bene il segretario di Più Europa Riccardo Magi: «Il governo può anche dichiarare che l’Egitto è un Paese sicuro perché quando [Matteo] Salvini c’è stato in vacanza non gli è successo nulla, ma ai tribunali resta il potere/dovere di valutare se un Paese è effettivamente sicuro per i singoli cittadini che arrivano in Italia a richiedere l’asilo e se quindi può essere loro applicata la procedura accelerata con trattenimento in Albania». Questo era e resta il punto debole della scelta di Meloni. Che si sente forte dopo una sentenza della Cassazione che peraltro ha confermato la possibilità per i giudici di valutare in via generale la sicurezza del Paese di provenienza del migrante e di disapplicare il decreto Paesi sicuri.

A poco serve, dunque, che il governo italiano stabilisca per decreto una propria lista di Paesi sicuri se poi questi non corrispondono ai parametri stabiliti dalla giurisprudenza e dalla regolamentazione europea. Perché trattandosi di una disposizione di legge nazionale, il decreto legge deve essere conforme anche alla normativa europea.

L’altro escamotage del governo, giuridicamente debole, è consistito nel trasferire le decisioni dai Tribunali alle Corti d’Appello con la speranza di avere decisioni favorevoli. Questa misura diventa operativa trenta giorni dopo l’entrata in vigore della legge, cioè il prossimo 11 gennaio e dunque solo da quel momento la nave Libra potrà tornare a trasportare, o deportare, i migranti verso il porto di Shëngjin.

La presidente del Consiglio ha evidentemente deciso di fare a testate con la legge finché non vince lei. È il suo modo tipico di fare politica: non ascoltare, non mediare, non ricomporre i contrasti. Ma solo urlare dal palco della festa di partito che i centri in Albania «fun-zio-ne-ra-nno!».

Ormai la premier rischia di avviarsi pericolosamente verso un delirio d’onnipotenza, assumendo la pratica di un potere vissuto come assoluto, alla coincidenza tra volere e potere. Ovunque si trovi, ad Atreju o in Lapponia, Meloni fa mostra di poter andare avanti sempre e comunque. Questo sarà valido per gli alleati della maggioranza. Ma poi ci sono i giudici, c’è l’Europa. Ecco il punto: non essendo mutate le condizioni di fondo che fecero naufragare la prima missione albanese, Giorgia Meloni rischia di andare a sbattere un’altra volta.

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