Ma meno male che il referendum sull’autonomia differenziata non si farà. Curiosamente, da visioni opposte, Annalisa Cuzzocrea e Francesco Storace hanno scritto di una brutta notizia per la sinistra: ma quando mai? Il problema è semmai per la Lega che si ritrova tra le mani una pistola ad acqua, con una legge da riscrivere e un tortuoso negoziato con le Regioni da affrontare, di modo che la riforma Calderoli non è morta ma è ricoverata in ospedale in rianimazione. Complimenti.
La circostanza non dispiacerà per niente ad Antonio Tajani – ma questa alla fine non è una cosa molto importante – e nemmeno a Giorgia Meloni che cinicamente gode dell’insuccesso leghista. Però a questo punto lei dovrebbe spiegare come mai la famosa stagione delle grandi riforme, a metà legislatura, abbia prodotto solo un topolino, cioè il primo sì alla separazione delle carriere dei magistrati: non esattamente un ritmo da Usain Bolt. Forse se avesse cercato un confronto in Parlamento oggi la destra non avrebbe collezionato un mezzo fallimento sull’autonomia differenziata e messo il premierato in naftalina. Sulle riforme, bocciati.
E veniamo al centrosinistra. È probabile che Elly Schlein non si stracci le vesti per la bocciatura del referendum che pure aveva imbracciato come un fucile per il riflesso condizionato della sinistra di fare un po’ di casino. Almeno speriamo. Lo schema è saltato. Voleva fare della stagione referendaria un campo di battaglia contro il governo costruendo una grande armée della sinistra sommando meridionalismo, landinismo (i quesiti sul Jobs Act) e uno po’ di diritti (il referendum di Più Europa sulla cittadinanza), un bel cocktail in salsa gauchista contro Meloni&Salvini. Chiaramente un azzardo.
Una sconfitta dei No alla riforma Calderoli, ipotesi tutt’altro che irrealistica perché il No del Sud anti-leghista non sarebbero bastato, e questo avrebbe significato una gigantesca vittoria per il governo, cioè un ottimo volano per una ancora più tranquilla navigazione nella seconda parte della legislatura. Un rischio troppo alto. Inutile da correre.
Ora la giornata referendaria di primavera si prospetta come ancora più moscia, e purtroppo si è voluto infilare un tema serio come la cittadinanza (cinque anni invece di dieci per richiederla) nel tritatutto di un quorum che non verrà mai raggiunto. Schlein punta molto sui referendum vendicativi sul Jobs Act, un pezzetto di legislazione che non appassiona altri che Maurizio Landini e i vecchi nemici del governo Renzi di dieci anni fa.
La segretaria del Partito democratico fa finta di ignorare che un pezzo del suo stesso partito non è per l’abrogazione, per cui molti o voteranno No o non andranno a votare. Schlein voleva il campo largo contro il governo e si ritrova un campo stretto sul Jobs Act, un regolamento di conti fuori tempo massimo tra gruppi dirigenti della sinistra che certo non è in grado di portare alle urne il cinquanta per cento più uno degli italiani. Alla fine, meglio così. E peccato per i milioni di euro buttati al vento.