Manettari si nasce Il rinvio a giudizio di Santanché ha risvegliato il giustizialismo populista di sinistra

Il 20 marzo inizierà il processo contro la ministra del Turismo, accusata di false comunicazioni sociali. Le opposizioni sono uscite improvvisamente dal loro torpore per chiedere le dimissioni, come ai vecchi tempi

Unsplash

Il caso Santanchè-Visibilia, atteso da tempo, ha mandato in visibilio il triangolo delle Bermude Partito democratico-Movimento 5 stelle-Alleanza verdi e sinistra, dove è piovuta una piccola manna per svegliarsi dal torpore degli ultimi tempi. La richiesta di dimissioni della ministra del Turismo, rinviata a giudizio nel processo Visibilia, una delle società del gruppo da lei fondato, per l’accusa di false comunicazioni sociali si è immediatamente levata dal Nazareno, persino battendo sul tempo i tradizionali manettari M5S e Avs. 

Basta dunque un rinvio a giudizio, non una sentenza, per smontare una casella del governo, come ai bei tempi. Naturalmente la posizione di Daniela Santanchè è inquietante per ragioni politiche e certo anche per le tante ombre sulla sua condotta di amministratrice di società fallite o rivendute ma questo era valido anche due giorni fa, e però è quando suona la campanella di una Procura che s’intona il coretto «dimissioni-dimissioni» che non ci saranno perché, strumentalmente o meno, Giorgia Meloni userà proprio la frase che avrebbero dovuto utilizzare le opposizioni: attendiamo la sentenza di primo grado. 

Chiaro che se la ministra di Fratelli d’Italia facesse autonomamente un passo indietro sarebbe meglio per tutti, ma lei va avanti, anche perché la sentenza arriverà abbastanza presto: il processo a carico di Santanchè e dei co-imputati si aprirà il prossimo 20 marzo davanti alla seconda sezione penale del Tribunale di Milano. 

Comunque, Elly Schlein e gli altri, anche Carlo Calenda, hanno usato toni che fanno tornare indietro nel tempo, quando il Pd di allora sbrigava i problemi in due minuti cacciando dai suoi governi personalità di secondo piano per delle sciocchezze. Ed è controproducente che oggi i dem rinfaccino alla presidente del Consiglio di essere incoerente dato che ai tempi l’allora esponente di Alleanza nazionale chiedeva le dimissioni di tutti quelli che inciampavano in comportamenti discutibili: oggi il Nazareno si comporta esattamente come Meloni si comportava allora. 

Ricordate la penosa vicenda di Josefa Idem, la grande campionessa divenuta ministra dello sport nel governo Letta? Quello stesso Partito democratico che l’aveva portata in palmo di mano la condannò per un avviso di garanzia, per una piccola vicenda di un’esenzione dal pagamento dell’imposta sull’abitazione di residenza e il sospetto di un abuso edilizio. 

Il mite Letta, dopo un colloquio dal quale lei uscì «con il groppo in gola», la costrinse alle dimissioni, e solo dopo anni nel Pd ci fu chi disse: «Abbiamo sbagliato». Con Maurizio Lupi l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi allargò le braccia – «Vedi tu, ma prima lasci e meglio è, anche per te» – e lì il problema non era neppure legato un’ipotesi di reato quanto alla circostanza di un regalo al figlio dell’ex ministro delle Infrastrutture, il famoso Rolex, da parte di un imprenditore. 

Anche in quel caso, o come in quello di Federica Guidi, sollevata dal suo ministero senza un motivo serio, venne tempo dell’autocritica, ma dopo. Insomma, è un terreno sul quale la sinistra scivola sempre tra i paletti del giustizialismo salvo fare ammenda quando è troppo tardi. Che poi Daniela Santanchè sia una pessima ministra è un altro discorso. Ma questo non lo decide la Procura di Milano.

X