Streaming alternativoNetflix, per una sera, può aspettare

Guida sregolata alle serie Tv da parte di chi in apparenza se le perde tutte (o quasi), ma che è addicted di Barack Obama, voce narrante e suadente di “Our Oceans”. Anche se la vera dipendenza la crea una platea diversa, quella di “Darwin, Nevada”: il nuovo progetto di Marco Paolini al Piccolo Teatro Strelher. Che sia “live” la nuova frontiera dello streaming?

Bastian contrario, chi assume per partito preso opinioni e atteggiamenti contrari alla maggioranza. La mia propensione alla ragionevolezza e all’apertura mentale svanisce quando si tratta di streaming. “Squid Games” ? Mai visto. “Bridgerton” e “White Lotus”, idem. “La casa di carta”, credo di aver guardato la prima puntata, ma quando ormai era un fenomeno globale. “Stranger Things”? La prima serie mi ha divertita, poi mi sono stufata. È più forte di me, quando tutti puntano in una direzione, a me viene da girare la testa dall’altra parte. 

Ho inventato scuse assurde per sfilarmi dalla conversazione sulle serie del momento, e la situazione diventa paradossale quando, magari due anni dopo, mi entusiasmo per uno show, tipo “Breaking Bad”, ma non mi azzardo a commentare con nessuno per non fare la figura della “tonna”. Ne convengo, in tutto questo c’è una punta di stupido snobismo, più di tutto però c’è il fastidio quasi fisico di aprire la app di turno e sentirmi dire: “abbiamo scelto questo per te”, “potrebbe anche piacerti”, “perché hai guardato”… e via così. Lo so che viene monitorato ogni mio click, ma io rivendico il diritto di sorprendere me stessa con scelte assurde, all’apparenza incompatibili, a volte catastrofiche. 

L’unico caso in cui autorizzo Netflix, Disney+, Amazon Prime, Youtube e tutti gli altri a bombardarmi di contenuti simili è se si parla dei Beatles, per il resto lasciatemi scartabellare in pace i vostri titoli e pazienza se non sono sul pezzo. Tipo, “The Get Down” di Baz Luhrmann è tra le cose che ho amato di più di Netflix (evidentemente eravamo in tre a seguirlo e il progetto è stato abbandonato dopo la prima serie), ma non ci sarei mai arrivata se a suo tempo non mi fossi messa a spulciare il carosello dei trailer. E attualmente ho due passioni che il resto del mondo avrà già visto, assimilato e dimenticato: “The Gentlemen” di Guy Ritchie e “Our Oceans”, una serie di documentari sulla vita sottomarina dei nostri oceani. Sul primo non mi dilungo troppo, prendete le atmosfere aristocratiche alla “Downton Abbey”, mescolatele con il dry humor inglese e ripetuti omaggi a Quentin Tarantino et voilà, il divertimento è servito. 

Paolini a teatro con Darwin Nevada, foto ®MasiarPasquali. Courtesy of Piccolo Teatro

Vi invito, invece, a tuffarvi nelle cinque puntate del secondo, da vedere in originale per non perdersi la voce narrante di Barack Obama. Il quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti è cool e già lo sappiamo, non mi aspettavo però, che il suo contributo potesse rendere tanto speciale il tutto, anche se l’eccezionalità del progetto sta nelle riprese di balene, squali, elefanti marini, orate, granchi, alghe, foreste sui fondali e onde gigantesche sulla superficie. Come spiega uno dei direttori della fotografia, Roger Munns, si è trattato di una produzione enorme, con riprese in trentatré Paesi diversi nel corso di cento spedizioni, con una troupe di settecento persone che hanno trascorso un totale di cinquantatré ore sul campo e quattromila ore sott’acqua per filmare oltre mille specie, contribuendo ad alimentare nuove pubblicazioni scientifiche. 

Se pensate che sia l’ennesimo documentario, interessante e allo stesso tempo noioso, vi invito a ricredervi. Le abitudini della fauna ittica sono stupefacenti, e non parlo per iperbole. Ci sono creature che spazzano alla perfezione il fondale per attrarre la femmina pronta a deporre le uova e disinteressarsene subito dopo alla faccia dell’idea classica di maternità, oppure nonne orche intente a insegnare ai giovani di famiglia come cacciare foche e leoni marini sul bagnasciuga senza correre il rischio di spiaggiarsi.

Ancora più incredibile è la precisione, la chiarezza, la prossimità delle riprese, per cui ho spesso pensato fossero frutto di AI (da una ricerca in rete, parrebbe di no). Ma lo Zenith della “figaggine” è quella sensazione di pace, armonia, bellezza che traspare in ogni frame. Anche in quelli cruenti, è la natura che fa il suo corso, non ci sono la rabbia, l’odio, il desiderio di sopraffazione che ritrovo ogni mattina sulle prime pagine delle news. “Our Oceans” è la mia boccata di serenità, una dipendenza, per fortuna innocua, che vi suggerisco di abbracciare. E per dimostrarvi che non sono del tutto disconnessa dalla realtà, ecco un messaggio speciale a chi si trova in questi giorni a Milano e dintorni. Procuratevi un biglietto per “Darwin, Nevada” il nuovo progetto di Marco Paolini in scena al Piccolo Teatro Strelher fino al 16 febbraio, per la regia di Matthew Lenton. 

La trama non ve la spiego perché è un guazzabuglio che si chiarisce man mano, diciamo che lo spunto è Charles Darwin e la sua teoria dell’evoluzione della specie. Non mi lancio nemmeno in una recensione con tutti i crismi, mi limito a dirvi lo spettacolo mi è piaciuto, la scenografia è intrigante, ma soprattutto ho amato come Paolini sappia creare una connessione intensa con la sala. Il teatro era gremito e anche se ci ero andata da sola, mi sono sentita parte di un tutto: datevi un appuntamento lì per ascoltare e ascoltarsi. Ho appena buttato l’occhio alla biglietteria online, c’è ancora qualche posto e pure in promozione: non fate i pigri, Netflix, per una sera, può aspettare.

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