Camillo di Christian RoccaAnnan mostra la faccia dura per salvare l'Onu (e se stesso)

Milano. C’è chi dice che la proposta di riforma dell’Onu presentata da Kofi Annan sia un tentativo serio, mentre altri credono che finirà come le altre proposte annunciate e mai realizzate, specie ora che il Segretario è in difficoltà per lo scontro con Washington sull’Iraq, per gli scandali sessuali dei Caschi blu in Congo e per l’inchiesta oil-for-food che a fine mese dirà di più sul coinvolgimento di suo figlio Kojo. Annan è al quarto tentativo di riforma in 8 anni. Questa volta la scadenza è settembre, quando l’Assemblea Generale sarà chiamata ad approvarla con una maggioranza dei due terzi, più una successiva ratifica, nei paesi d’origine, dei due terzi dei 191 Stati membri, in primis dei 5 con il seggio permanente.
Annan offre due possibilità. Entrambe prevedono l’allargamento del Consiglio di Sicurezza da 15 a 24 membri. Gli attuali 5 paesi con il seggio permanente restano gli unici a poter disporre del diritto di veto. Nella prima ipotesi, ai 5 si aggiungono 6 seggi permanenti (2 africani, Nigeria e Sudafrica; 2 asiatici, India e Giappone; 1 americano, Brasile; 1 europeo, Germania o Ue), e 13 seggi a rotazione ogni due anni. Nella seconda ipotesi non ci sarebbero nuovi seggi permanenti, ma 8 semi permanenti (in carica per 4 anni e con la possibilità di riconferma) più 11 paesi in carica 2 anni, ma non rinnovabili. Gli Usa vogliono il Giappone, hanno dubbi sulla Germania. La Russia ha dato l’ok, l’Italia preferisce la seconda ipotesi, ma non crede che entro settembre si troverà un accordo.
Le parole di Annan sono clamorose. Mai un Segretario generale aveva fatto una disamina così spietata del funzionamento dell’Onu, mai aveva ammesso il pericoloso allontanamento dai principi fondativi: "Le Nazioni Unite devono essere rimodellate in modi mai immaginati prima e con un coraggio e una velocità prima mai mostrata". E, ancora, "se l’Onu vuole essere uno strumento utile deve adattarsi pienamente ai bisogni e alle circostanze del 21esimo secolo".
Il filo conduttore della riforma è molto simile alle indicazioni date da George Bush a settembre proprio alle Nazioni Unite: l’Onu deve diventare più forte, più deciso e dovrà riconoscere il legame tra sviluppo, democrazia, rispetto dei diritti umani e sicurezza, cioè dovrà dare l’ok alla nuova politica estera "neocon" degli Usa. Annan ha chiesto al Consiglio di Sicurezza di leggersi bene la Carta Onu, che prevede già l’utilizzo della forza "per prevenire e rimuovere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace", e quindi adottare una risoluzione che stabilisca i criteri per l’esercizio della forza militare, anche preventiva. L’Onu dovrà definire una volta per tutte il concetto di terrorismo, fin qui annacquato dai paesi arabi in formule minimaliste per escludere le stragi di civili israeliani. Su questo Annan è stato molto diretto, definendo il terrorismo secondo la formulazione suggerita dalla Commissione di saggi nominata l’anno scorso e chiedendo all’Assemblea di convocare per settembre una Convenzione contro il terrorismo. Su richiesta di Bush, Annan ha proposto un "Fondo per la Democrazia" per finanziare la diffusione della democrazia. Annan è andato incontro a Washington su altre cose: riforma delle attività di prevenzione nucleare simile a quella elaborata dal nuovo ambasciatore John Bolton, ruolo dei paesi democratici e "Consiglio sui diritti umani" formato da paesi che si impegnano a "rispettare i più alti standard di diritti umani" e non, come adesso, aperto anche ai torturatori. La scelta, però, spetterebbe ai due terzi di un’Assemblea Generale oggi egemonizzata da regimi autoritari e paesi non allineati. Annan ha detto quello che i più feroci critici dell’Onu sostengono da anni, e cioè che c’è "un deficit di credibilità" a causa di quegli Stati che "cercano di far parte della Commissione non per tutelare i diritti umani ma per proteggersi dalle critiche o criticare altri paesi". Annan, infine, ha proposto una Commissione sul Peace-building. E’ probabile che a Washington non piacciano lo Special Rapporteur che controllerà la compatibilità delle misure antiterrorismo con le leggi internazionali, né l’invito ai paesi ricchi di versare lo 0,7% del proprio pil. Oggi sono solo in 6 a fornire tale cifra. Gli Usa versano solo lo 0,18%, ma sono 22 miliardi di dollari, il 22% dell’intero budget Onu.

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