Camillo di Christian RoccaBolton all'Onu

Milano. Per la serie George-Bush-ora-è-cambiato-ed-è-diventato-più-buono è arrivata a rovinare tutto la notizia della nomina di John Bolton ad ambasciatore americano alle Nazioni Unite. Bolton è il duro e poco diplomatico ex sottosegretario al controllo delle armi e alla sicurezza internazionale che Bush affiancò a Colin Powell al Dipartimento di Stato, nonostante Powell avesse fatto di tutto per non averlo tra i piedi. Con la nomina di Condoleezza Rice a Foggy Bottom, Bolton ha lasciato l’incarico al Dipartimento di Stato. Il suo addio era stato letto dagli analisti liberal come un’inversione di tendenza della politica estera di Bush. Era vero il contrario. Il secondo mandato di Bush, come si vede, è ancora più aggressivo nel perseguire la politica di democratizzazione e di liberazione del medio oriente. Così, dopo i discorsi di Bush e Rice sugli "avamposti della tirannia", dopo il successo delle elezioni in Iraq, dopo le avvisaglie di rivoluzione democratica causate dal cambio di regime a Baghdad, dopo gli ultimatum al regime siriano, dopo gli incoraggiamenti all’opposizione libanese e le pressioni ai sauditi e agli egiziani, dopo i primi rimbrotti a Vladimir Putin, dopo la nomina del neocon Elliot Abrams a consigliere speciale della Casa Bianca sulle "strategie globali della democrazia", dopo tutto questo, ecco, la nomina di Bolton all’Onu quasi completa la squadra pro-democracy della Casa Bianca. "Quasi", perché a breve è possibile che anche Paul Wolfowitz cambi incarico, magari per diventare il gran capo del nation building democratico dall’ufficio di presidente della Banca mondiale.

Chi è, dunque, Bolton? Amici e nemici amano ripetere un episodio che lo descrive al meglio. Quando un giornalista gli chiese quale fosse la politica americana sulla Corea del Nord, Bolton si girò, prese dalla libreria un libro, lo posò sulla scrivania e disse: "Questa". Il saggio, scritto dall’analista dell’American Enterprise Institute Nicholas Eberstadt, aveva questo titolo: "The End of North Korea", la fine della Corea del Nord.
Bolton è stato vicepresidente dell’American Enterprise, il centro studi che ha preparato le politiche oggi attuate dall’Amministrazione Bush, ma anche condirettore del Project for a New American Century, il serbatoio di cervelli che secondo i teorici della cospirazione una decina di anni fa avrebbe pianificato la guerra in Iraq. "Bolton non è un neocon ­ ha detto al Foglio Bill Kristol ­ più che altro è un uomo di Dick Cheney". Ma il vicepresidente, insieme con Bush e Rice, sostiene le politiche reaganiane applicate al medio oriente elaborate dai neocon.

Sulla scia dei neocon al Palazzo di Vetro
Al Dipartimento di Stato, Bolton è stato un fedelissimo esecutore dell’azione e delle politiche della Casa Bianca. I dittatori li ha sempre trattati da dittatori. Di Kim Jong Il ha detto che è "il dittatore tirannico" di un paese dove la vita "è un incubo infernale". La Nord Corea ha risposto non accettando Bolton come negoziatore, così gli Stati Uniti sono stati costretti a inviare un sostituto.
Recentemente, Bolton ha accusato senza mezzi termini la Cina di vendere missili all’Iran e l’Europa di voler riprendere a vendere armi alla Cina. I detrattori descrivono Bolton come il più unilateralista in un’Amministrazione di unilateralisti. In realtà si devono a lui le grandi iniziative multilaterali dell’Amministrazione Bush. Sulla Corea del Nord, per esempio, Washington non ha mai accettato di trattare da sola con Pyongyang, insistendo sui colloqui a sei, coinvolgendo le altre potenze regionali: Giappone, Cina, Russia e Corea del Sud. A Bolton si deve il successo della Proliferation Security Initiative, l’alleanza multilaterale di chi vuole fermare la corsa alle armi di sterminio da parte dei "paesi canaglia". Nella coalizione ci sono un centinaio di Stati, tra cui l’Italia e la Francia. Nella Prima guerra del Golfo, Bolton aiutò James Baker a formare la vasta coalizione internazionale per liberare il Kuwait da Saddam.
Il curriculum di Bolton è meno simpatetico con l’Onu. Nel 1994, scrive il sito Right Wing, disse che "se il palazzo del segretario Onu a New York perdesse dieci piani non succederebbe niente", mentre quattro anni dopo descrisse la Corte penale internazionale come "il prodotto di gente dalla mente confusa, un’idea non solo ingenua, ma pericolosa". Al Wall Street Journal, Bolton confessò che aver firmato la lettera con cui annunciava il "no" americano al Trattato istitutivo della Corte "è stato il momento più felice del mio servizio al governo". Gli Stati Uniti hanno una lunga tradizione di ambasciatori all’Onu poco diplomatici e freedom fighters, a cominciare dai neoconservatori Daniel P. Moynihan (il cui ghost writer nelle grandi occasioni era Norman Podhoretz) e Jeane Kirkpatrick, fino ai falchi clintoniani Madeleine Albright e Richard Holbrooke. Bush ha nominato prima John Negroponte, successivamente inviato a Baghdad e ora scelto come supercapo dei servizi di sicurezza, e poi l’ex senatore evangelico John Danforth. "In passato sono stato critico sull’Onu ­ ha detto ieri Bolton, la cui nomina dovrà ottenere la conferma del Senato, e non sarà facile ­ ma sono anche orgoglioso di aver contribuito, nel ’91, a cancellare la macchia più grande nella reputazione dell’Onu: la risoluzione del 1975 che paragonava il sionismo al razzismo. Mi batterò perché l’Onu diventi un’organizzazione efficace, com’era negli intenti originari". Se non ci riuscisse, se l’Onu fosse cioè irriformabile, Bolton non esiterebbe a spiegare la politica Usa sull’Onu con un libro che, come quello sulla Corea del Nord, annunci la fine delle Nazioni Unite.

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