C’è grande confusione sotto il cielo neoconservatore, cioè dalle parti del movimento politico e intellettuale più citato a sproposito degli ultimi anni. I giornali italiani, ieri, hanno ripreso un articolo del New York Times di domenica su una faida interna ai neocon consumata dentro The National Interest, la rivista fondata nel 1985 dal padrino dei neocon, Irving Kristol. Il Times, e di conseguenza Corriere e Repubblica, hanno raccontato di una specie di scisma guidato da Francis Fukuyama contro i nuovi editori della rivista, i realisti del Nixon Center. Indignato dalla svolta kissingeriana, cioè contraria alla politica di democratizzazione del medio oriente attuata dalla Casa Bianca, Fukuyama avrebbe lasciato il gruppo insieme con Samuel Huntington (certo non un neocon), Midge Decter (moglie di Norman Podhoretz) e quasi tutti gli altri membri del comitato editoriale, tranne Charles Krauthammer e Daniel Pipes. Fukuyama aprirà una nuova rivista, The American Interest, insieme con Zbigniew Brzezinski (il quale, al contrario di quanto ha scritto il Times non è nel board di National Interest) e con l’editore tedesco di Die Welt. Messa così, però, la notizia è tagliata con l’accetta. Non è soltanto colpa dei giornalisti, sono loro – i neocon – a fare un gran casino. Ci si è messo anche l’autore dell’articolo del Times, David Kirkpatrick, il cui cognome, guarda un po’, è uguale a quello della madrina neocon, Jeane Kirkpatrick.
Innanzitutto The National Interest non è "la rivista culto dei neocon" come ha scritto il Corriere. Quella è The Public Interest, testata con nome simile e sempre con Irving Kristol come fondatore, mentre altre riviste, come Commentary, sono certamente più antiche e più rappresentative del movimento che nacque a sinistra e poi ha trasformato la destra americana. Il Nixon Center, poi, non è il nuovo proprietario di The National Interest: guida la rivista da anni, in collaborazione con Conrad Black, oggi costretto dagli scandali finanziari a cedere il controllo del gruppo editoriale Hoellinger. Il direttore della rivista è l’inglese John O’Sullivan, un noto analista conservatore di scuola realista, mica un neocon. Il co-presidente, e non da ieri, è Henry Kissinger, l’avversario ideologico dei neocon, mentre chiunque abbia letto qualche volta la rivista sa che la versione internet si autodefinisce come un luogo di "analisi degli eventi di politica estera americana e mondiale da una prospettiva realista". Poco neocon, insomma.
Ma c’è di più. Fukuyama è un feroce critico della politica estera bushiana, al punto da non averlo votato alle ultime elezioni. Pur definendosi ancora un neocon, qualche mese fa ha scritto proprio su The National Interest un lungo saggio contro l’idea di esportare la democrazia in Iraq senza la legittimazione internazionale e con l’approccio israeliano al conflitto mediorientale. Da neocon, Fukuyama ha demolito le tesi neocon, in particolare quelle di Charles Krauthammer, un altro neocon, salvando Paul Wolfowitz, il neocon in capo, ma soltanto per l’antica amicizia personale. Pochi mesi fa, dunque, le critiche di Fukuyama erano di stampo realista, ora è tornato idealista. Insomma, una gran confusione da cui non si esce se non si capisce che il neoconservatorismo non è un movimento organizzato, coeso, affiatato e con un’agenda comune. "Il neoconservatorismo è uno stato d’animo", diceva James Q. Wilson, il neocon che con il suo saggio "Broken Windows" ha ispirato la politica di tolleranza zero applicata dal sindaco di New York, Rudy Giuliani.
Se possibile la cosa è ancora più complicata. Krauthammer infatti ha replicato a Fukuyama con un lungo articolo, sempre sul National Interest e tradotto dal Foglio, in cui ha scritto esplicitamente che Fukuyama non sapeva di che cosa stesse parlando, visto che la politica estera dei neocon si divide in due filoni, uno globalista democratico e l’altro democratico-realista. I primi sono favorevoli all’esportazione della democrazia ovunque e comunque, gli altri credono che si debba intervenire soltanto quando sono in gioco gli interessi americani. Bill Kristol, Robert Kagan, Richard Perle, per fare un esempio, erano favorevoli all’intervento umanitario in Bosnia, mentre Krauthammer no, perché credeva fosse nell’interesse degli europei e non degli americani: per cui attaccare Krauthammer invocando realismo non aveva alcun senso. Fine della storia? Assolutamente no, anche perché la nuova avventura editoriale di Fukuyama partirà con Zbigniew Brzezinski, l’ex consigliere di Jimmy Carter, cioè un liberal realista. Roba da mettersi le mani nei capelli. Non aiuta nemmeno Vittorio Zucconi, il quale ieri nel raccontare lo scisma di Fukuyama ha scritto che Wolfowitz "ha lasciato la seconda poltrona del Pentagono". Non risulta, però. Anche se i pettegolezzi di Washington lo vorrebbero in uscita perché in rotta con Donald Rumsfeld.
La notizia più importante sul mondo neocon però non riguarda The National Interest. Come anticipato dal Foglio, dopo 40 anni di servizio ad aprile chiuderà la vera rivista mito dei neocon, The Public Interest (il saggio conclusivo di Irving Kristol sarà pubblicato sul Foglio). Fu fondata nel 1965 come rivista liberal di politiche sociali, a favore del welfare e dei diritti civili. Un anno prima Kristol e gli altri avevano votato per il democratico Lyndon Johnson contro Barry Goldwater. Su quelle pagine si è sviluppato il pensiero politico neocon sui temi di politica interna, idee nate per raddrizzare la deriva illiberale della sinistra e finite per egemonizzare la destra. Questa ambiguità del pensiero neocon resiste ancora, coinvolge i suoi stessi esponenti e continua a spiazzare i suoi detrattori.
15 Marzo 2005