La seconda gamba della strategia di politica estera della Casa Bianca passa attraverso la decisione di inviare Paul Wolfowitz alla presidenza della Banca Mondiale, l’istituzione internazionale che ha come obiettivo la riduzione della povertà. Wolfowitz lascia il Pentagono perché lavorare con Donald Rumsfeld non è certo uno dei lavori più facili di Washington. Ma non si tratta di un semplice avvicendamento di un vice ministro. Wolfowitz è l’architetto dell’intervento liberatore in Iraq e della teoria del contagio democratico in medio oriente, non uno qualsiasi. Non si è mai occupato direttamente né di economia né di affari. Che cosa ci va a fare, dunque, alla Banca Mondiale? I bushiani hanno in mente di riformare radicalmente la World Bank, trasformandola da istituto finanziario, qual è oggi, in super ente donatore che conceda "grants" e non "loans", sovvenzioni a fondo perduto invece che prestiti, i cui interessi poi impediscono ai paesi debitori di camminare con i propri piedi. C’è anche l’idea di vincolare l’assistenza e gli aiuti internazionali alle riforme democratiche, sul modello del Millennium Challenge Account, la legge di aiuti internazionali approvata da Bush nel primo mandato. L’arma pacifica degli aiuti economici è la più potente, come ha dimostrato il recente caso egiziano. Quando Condi Rice ha minacciato di non versare i consueti 2 miliardi di dollari annui, il dittatore Hosni Mubarak ha subito concesso le elezioni multipartitiche e liberato il suo oppositore democratico.
17 Marzo 2005